Per tornare in aula non basta una circolare E ora meno verifiche
Chiara Saraceno
La marcia indietro era, purtroppo, inevitabile. I ragazzi/e delle superiori (speriamo solo loro) non torneranno a scuola in presenza al 100%, anche nelle zone arancioni e gialle.
Continueranno ad alternare didattica a distanza e in presenza.
Da un anno, nonostante gli sforzi dei singoli presidi e insegnanti, poco è stato fatto per fare in modo che gli studenti, specie delle superiori, potessero frequentare in presenza in sicurezza: aumento delle aule, ma quindi anche degli insegnanti con sdoppiamento delle classi dove necessario, tamponi effettuati sistematicamente, riorganizzazione dei trasporti.
Tutto, salvo i banchi monoposto con o senza rotelle, è rimasto come all’epoca della prima chiusura oltre un anno fa, mentre il virus continua a girare e a modificarsi. È giusto chiedere che ciascuno, anche i ragazzi/e, osservi scrupolosamente le norme di prevenzione del contagio. Ma, mentre si condannano gli assembramenti fuori scuola o nello struscio, non si può far credere che passare quattro o cinque ore al chiuso in aule con 25 persone o più, distanziate di un metro "da rima buccale" non costituisca, di fatto, un assembramento.
Tutti noi avremmo voluto che tutti i ragazzi/e, anche quelli delle superiori, ritornassero a scuola al 100%. Avremmo voluto che si lavorasse concretamente in questa direzione in questi mesi, non semplicemente aspettando che il virus per magia sparisse. Invece li abbiamo tenuti a casa, per altro senza un’apprezzabile impatto di contenimento del virus , e ci siamo scordati di ciò che andava fatto per consentire che tornassero in sicurezza, per loro e per noi. E che andrà comunque fatto, perché a settembre non ci si ritrovi di nuovo allo stesso punto.
Chiediamo quindi ancora questo sacrificio ai ragazzi/e. La didattica mista non è sicuramente un dramma, se organizzata bene dal punto di vista del ritmo temporale (meglio alternarla durate la settimana, invece che settimanalmente) e soprattutto dal punto di vista didattico. Ma si faccia in modo che la didattica in presenza non si riduca a verifiche a raffica e a corse a finire il programma. Che gli insegnanti si prendano il tempo per ascoltare i loro studenti, per riflettere con loro sull’esperienza di questi mesi, magari anche per fare con loro attività che sono venute del tutto meno in questo lungo anno: laboratori, lavori di gruppo, visite a un museo, incontri con artisti o con persone che possono aiutare la comunicazione e l’auto-riflessione. Non sarà tempo perso, al contrario. Potrebbe anche aiutare a recuperare chi si è perso, per scoraggiamento o mancanza di motivazione. Insieme ad una circolare sulle percentuali di didattica in presenza o sulle distanze tra "rime buccali", forse il ministero potrebbe mandare una circolare che raccomandi di preoccuparsi meno delle verifiche e più dell’ascolto e della ri-motivazione dei loro studenti. E nel frattempo impegnarsi davvero perché a settembre non ci si ritrovi allo stesso punto, dal punto di vista logistico, organizzativo e didattico. Non sarebbe più perdonabile.