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Perché è andato in crisi il sogno della convivenza

Secondo il premier inglese David Cameron e la cancelliera tedesca Angela Merkel occorre abbandonare l´idea della coesistenza tra gruppi con tradizioni diverse. E in Europa si riapre la discussione

10/02/2011
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la Repubblica



Alain Touraine

Quando si parla dei rapporti tra culture diverse all´interno di una stessa società occorre evitare semplificazioni e schematismi, sottraendosi alla tentazione dell´aut aut tra assimilazionismo e multiculturalismo. Due atteggiamenti contrapposti che nelle loro versioni più intransigenti diventano entrambi irrealistici, e quindi fallimentari. In Francia, dove si pensava di poter integrare gli immigrati, assimilandoli all´interno di un´identità nazionale, oggi questi sono prigionieri dei quartieri ghetto, alle prese con una disoccupazione altissima e una discriminazione sempre più marcata. In Inghilterra, David Cameron - come per altro Angela Merkel in Germania - denuncia i limiti del multiculturalismo, dove la difesa delle differenze culturali alla fine ha prodotto contrapposizioni inaccettabili e il rifiuto dei diritti degli altri. Nei due casi, ha prevalso un comunitarismo intransigente che resiste ad ogni integrazione.
Il progetto di una società multiculturale è dunque in crisi. La causa va cercata soprattutto nel venir meno dei fattori d´integrazione che avrebbero dovuto accompagnare tale progetto. Senza integrazione, infatti, il rispetto della diversità culturale produce l´antagonismo di pratiche, valori e tradizioni, dove l´assenza di un terreno comune finisce per minare la coesistenza civile.
L´idea che diverse comunità culturali, etniche o religiose possano continuare a vivere all´interno di una stessa nazione conservando le loro tradizioni, i loro valori e le loro identità era nata proprio in Inghilterra, che però all´epoca pensava soprattutto alle diverse comunità provenienti dall´impero britannico e quindi unificate dalla lingua inglese. Oltretutto, il multiculturalismo si è affermato in un contesto di crescita economica e di rafforzamento dell´identità nazionale. Come per altro è avvenuto negli Stati Uniti, un paese d´immigrati che però ha immediatamente sviluppato due potenti fattori d´unità: il sistema giuridico e il mercato del lavoro. Il multiculturalismo, infatti, può esistere solo se contemporaneamente si rafforza l´unità nazionale, sul piano sociale ed economico, ma anche sul piano dei valori condivisi che fondano l´appartenenza alla cittadinanza e all´identità collettiva.
Oggi l´Inghilterra non ha più la capacità d´integrazione che aveva in passato. Lo stesso vale per la Francia e perfino - in parte - per gli Stati Uniti. Un po´ dappertutto assistiamo all´indebolimento della coscienza dell´identità nazionale. La mondializzazione, la crisi dei valori, la congiuntura economica indeboliscono gli Stati, che quindi non sono più in misura di controbilanciare con l´integrazione le rivendicazioni del comunitarismo. Rivendicazioni sempre più oltranzistiche che spesso nascono come reazione alla xenofobia e all´islamofobia in crescita in tutto l´Occidente, anche per via delle tensioni internazionali prodotte dall´11 settembre e dalla guerra in Iraq.
Riconoscere i limiti di una società multiculturale non significa però rinunciare al rispetto delle altre culture e al dialogo, che è sempre un fattore positivo. Tuttavia ciò non può ridursi semplicemente alla tolleranza, anche perché talvolta dietro di essa si cela un sentimento di superiorità. Tolleriamo infatti colui che consideriamo inferiore. Il multiculturalismo più radicale, che difende una tolleranza assoluta, nasce spesso da un sentimento di superiorità economica, culturale e sociale.
Rispettare le altre culture è un´operazione più complessa, motivo per cui la tolleranza che m´interessa è quella che difende i diritti delle minoranze in nome dei diritti universali, come è stato fatto in passato per i diritti delle donne. Chi, in nome del relativismo culturale, rimette in discussione il valore universale dei diritti dell´uomo fa un grave errore, perché tutti i nostri diritti specifici sono sempre stati conquistati in nome di tali valori universali. Non avrebbe senso abbandonarli. Dobbiamo però dimostrare che l´universalismo dei diritti dell´uomo è conciliabile con il rispetto dei diritti culturali delle diverse comunità, le quali a loro volta devono riconoscere il valore dei principi universali. Solo così è possibile vivere insieme senza conflitti. Insomma, la maggioranza deve rispettare i diritti della minoranza, a condizione che la minoranza rispetti quelli della maggioranza. E quando una comunità rifiuta di farlo, allora occorre farle rispettare la legge che incarna i diritti di tutti. Le leggi nazionali devono sempre vincere sulle tradizioni dei paesi di provenienza.
Viviamo in un mondo mobile, in cui le nostre società continueranno inevitabilmente ad accogliere i migranti, anche perché ne abbiamo bisogno. La presenza delle loro tradizioni culturali produrrà forme di meticciato che arricchiranno la nostra cultura. Per questo vanno rispettate. Ma come ho detto, la tolleranza da sola non basta, dato che non può esserci riconoscimento d´identità senza integrazione sociale e nazionale. Solo se si rinforza il senso di appartenenza all´identità collettiva, diventa possibile riconoscere le differenze culturali. Solo rafforzando le politiche d´uguaglianza diventa possibile accettare le differenze. Occorre essere uguali e differenti. In pratica, oltre a chiedere il rispetto delle leggi nazionali da parte di tutte le comunità, occorre combinare multiculturalismo e assimilazionismo, cercando d´integrare le altre culture, ma dando loro la possibilità di esprimersi. Solo così si combattono contemporaneamente il comunitarismo e la xenofobia.
(testo raccolto
da Fabio Gambaro)