"Più aule, bus e docenti per dire addio alla Dad"
Le voci dal mondo dell’istruzione: "L’immunità dei prof non è l’unico problema Quelli non coperti sono solo il 14%". Tra le priorità spazi e trasporti da ripensare
di Corrado Zunino
ROMA — L’obbligo di vaccinarsi non esiste in Italia, ricordano sottosegretari e sindacalisti, e sinceramente il rischio "contagio a scuola e lezioni in Dad" non passa per quei duecentomila docenti e bidelli ancora senza prima dose per una campagna vaccinale pur iniziata a fine febbraio. Passa, piuttosto, per i tre milioni e quattrocentomila adolescenti privi di copertura (e loro da settembre abiteranno la scuola dalla seconda media alla quinta liceo), e per i mancati interventi alternativi: per il terzo anno scolastico e la seconda estate non si sono viste nuove aule, magari ricavate in nuovi spazi temporanei, non ci sono stati classi dimezzate, aumento di docenti, realizzazione di impianti di aerazione, un’organizzazione di trasporti vivibili nelle ore di punta.
L’idea dell’Associazione nazionale presidi, regalata dal presidente Antonello Giannelli — «Se la situazione non cambia, nel lungo periodo si possono valutare forme di obbligo vaccinale», è stata rilanciata con verve da un altro sindacato presidi, questo Ancodis: «Per chi decidesse di non fare il vaccino, come affermato dall’immunologo Galli, sarebbe opportuno e utile valutare, attraverso la presenza degli anticorpi, l’idoneità o meno al servizio. Occorre cioè considerare prioritaria la tutela della salute unitamente all’idoneità al servizio ».
In verità il responsabile di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano ha detto anche che parlare di obbligo di vaccino per prof e bidelli «è controproducente» e che «ci sono vaccinati che non hanno anticorpi e non vaccinati che ce li hanno e non hanno bisogno di vaccinarsi ». Valutare lo stato immunitario di queste persone, ecco, questa potrebbe essere la strada. Anche perché, aggiunge la microbiologa Maria Rita Gismondo, «la scuola non è un compartimento stagno nella società. Se intendiamo valutare l’obbligo vaccinale per i docenti, allora dovremmo farlo, per coerenza, anche per altre realtà lavorative ».
Il sindacato nelle sue diverse organizzazioni chiede comunque un atto civico al mondo della scuola: «Il tema della vaccinazione è un problema di natura etica e morale che riguarda la sensibilità delle persone », dice da Trento il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, «noi pensiamo che vaccinarsi sia un esempio di sicurezza verso noi stessi e gli altri». Tutti mettono in evidenza che il problema del ritardo del personale scolastico — sul piano nazionale ha ricevuto la prima dose l’85 per cento dei soggetti — dipende dalle difficoltà di alcune Regioni ad essere efficienti — Sicilia, Alto Adige, Sardegna, Calabria, Liguria, Umbria. E, soprattutto, il rischio del ritorno alla Didattica a distanza dipende dalla mancanza di interventi strutturali, deficit proseguito anche sotto il ministero di Patrizio Bianchi. «Si ripete un copione che non avremmo voluto vedere», dice Pino Turi, Uil scuola, «nulla è cambiato e la politica è ferma. Restano irrisolti i problemi di trasporto che fanno viaggiare il virus senza controllo. Continuano il balletto dello scaricabarile che finisce per colpevolizzare i lavoratori e la consueta narrazione sull’obbligo vaccinale». Nessuno pensi di tornare alla mistica della Dad, dice Turi, e si portino i docenti in cattedra, altro elemento decisivo per avere lezioni in presenza.
Francesco Sinopoli, segretario della Flc Cgil: «Non si può concentrare il tema della sicurezza a scuola su un 14 per cento di non vaccinati, i lavoratori. Non è escluso che, proprio alla luce delle vaccinazioni, si possa far saltare il metro di distanza tra gli studenti e lasciare solo l’uso delle mascherine».