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Più ignoranti. Più soli. Non esiste la democrazia senza la cultura

Intervista a Fabrizio Tonello autore della «Età della ignoranza»:nonleggiamo e non ci informiamo. Così siamo facilmente manipolabili

31/05/2012
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l'Unità

Chiara Valerio - scrittrice

PERCHÉ NON ESISTE UNA DEMOCRAZIA SENZA CULTURA? La nostra classe dirigente è in grado di dare dimostrazioni di senso della misura e di prudenza? Di controllare la distruzione dell’ambiente e l’anarchia dei mercati? La nostra società dell’informazione vive in una Età dell’ignoranza? E che cos’è l’ignoranza? Fabrizio Tonello, professore di Scienza politica all’Università di Padova, che ha lavorato negli Stati Uniti e ha riflettuto a lungo su quanto la politica sia una azione simbolica (Franco Angeli, 2003) pone e tenta risposte, attraverso riflessioni e dati statistici ne L’etàdell’ignoranza, il pamphlet che analizza lo stato della nostra democrazia, con un tono svelto, approfondito e sempre esatto.

 Vorrei partire dal sottotitolo del suo libro, «L’età dell’ignoranza»: è possibile una cultura senza democrazia? «Naturalmente no: tutte le teorie democratiche hanno a loro fondamento l’idea di cittadino informato sui fatti e capace di esercitare il suo giudizio sia sui candidati che si presentano alle elezioni sia sulle principali proposte che questi avanzano. Naturalmente, stiamo parlando di “cultura” nel senso di capacità di giudizio, una dote che viene in eguale misura dall’essere al corrente di come funziona il mondo e dall’abitudine all’interessarsi degli affari pubblici. L’Atene di Pericle era composta di cittadini in maggioranza analfabeti ma l’abitudine alla deliberazione, nelle giurie popolari o nell’assemblea, costituiva la migliore scuola di democrazia che si possa immaginare. Storicamente, le fasi di apatia, disinteresse, allontanamento dalla politica conducono sempre a un rapido peggioramento della qualità del personale politico e con essa della qualità delle decisioni. Cittadini facilmente manipolabili sono l’anticamera della morte della democrazia».

Che cos’è l’ignoranza? «Credo di non essere il solo a provare sconcerto per le varie forme di imbarbarimento delle relazioni sociali cresciute negli ultimi anni. Maleducazione, prepotenza, indifferenza verso gli altri, disprezzo per l’ambiente: la lista è lunga. Io penso si tratti del frutto velenoso dell’ipermodernità in cui viviamo, che conduce alla distruzione non solo delle risorse naturali ma anche di quelle etiche su cui il mondo moderno aveva costruito la propria fortuna. Le tendenze autodistruttive del capitalismo, presenti fin dall’ascesa di questa forma di rapporti di produzione, erano state in qualche misura tenute sotto controllo dall’esistenza di alcuni tipi umani dalla mentalità precapitalistica: l’imprenditore attento ai bisogni della comunità, il politico con il senso dello Stato, il funzionario integerrimo. Il “turbocapitalismo” degli ultimi 30 anni ha scialacquato queste risorse e ci ha dato i grandi criminali della finanza insieme ai piccoli criminali della politica italiana, cosa del resto ovvia se si vuol mettere a unico fondamento della vita associata l’interesse personale immediato. L’ignoranza è quindi non la mancanza di conoscenza di tali o talaltre nozioni ma la mancanza delle risorse etico-cognitive necessarie alla vita collettiva».

Perché la nostra è l’età dell’ignoranza? «Prima di tutto, guardiamo al fossato che si sta approfondendo tra chi ha accesso a internet e chi non ce l’ha. Nel dicembre 2011, i giornali italiani hanno commentato con soddisfazione che il traguardo del 50% della popolazione che frequenta la Rete era stato raggiunto, in un giorno medio erano 12 milioni gli italiani che usano la Rete, oggi sono forse un po’ di più. Cifre positive? C’è da dubitarne: siamo indietro rispetto a tutti i partner europei (l’accesso mediante banda larga ha un tasso di penetrazione nelle famiglie del 49% rispetto alla media europea del 61%). In secondo luogo, sappiamo che avere a disposizione miliardi di informazioni non equivale a comprenderle, né a saperle usare correttamente: al contrario, il “rumore di fondo” può diventare un ostacolo all’uso dell’intelligenza critica, la “fondamentale capacità dell’uomo di comprendere al tempo stesso in che mondo si trova a vivere ed a partire da quali condizioni la rivolta contro questo mondo diventa una necessità morale”. Fino ad oggi la Terra non è stata guarita dalle sue povertà, violenze, disuguaglianze, problemi alimentari e ambientali grazie a internet: l’immensa banca dati che oggi abbiamo a portata di mano non potrà mai sostituire l’attività critica della Ragione e ancor meno l’azione collettiva. Il dibattito di questi anni su internet come strumento miracoloso sia per l’economia che per la politica è stato privo di spessore storico, della capacità di chiedersi se altre invenzioni moderne non fossero state caricate di aspettative del tutto sproporzionate».

Che cosa è oggi l’analfabetismo? «L’Italia ha ancora centinaia di migliaia di cittadini, forse addirittura duemilioni, che effettivamente non sanno leggere e scrivere, ma non è questo l’aspetto più preoccupante. Ci sono parecchi milioni di cittadini in difficoltà a interpretare un testo semplice come un articolo di giornale (questo anche per colpa dei giornali, naturalmente) o le istruzioni per far funzionare l’aspirapolvere. Questo si traduce in un abbassamento generale della qualità del dibattito pubblico: meno di un italiano su 12 compra un giornale la mattina, fosse pure la Gazzetta dello sport, e le tirature dei libri seri di successo di misurano in poche migliaia di copie. Non solo: ma anche il cittadino che volesse vivere nelle sue quattro mura e non interessarsi di nulla dovrebbe ricordare che non saper interpretare l’estratto conto della banca, il contratto con Tim o Vodafone, la cartella delle tasse o le comunicazioni dell’Inps ha un costo enorme in termini di qualità della propria vita».

Ha più studiato o più capito? «Non si “capisce” fino a che non si prova a mettere in pratica ciò che si è studiato: il mondo reale è il banco di prova di qualsiasi conoscenza, che si tratti della capacità di suonare il violino, di tradurre Rimbaud o di creare gli algoritmi di Google. Purtroppo, la società dei consumi in cui viviamo diffonde l’illusione che lo studio sia inutile, la riflessione noiosa, l’apprendimento una inutile fatica. Sono però convinto che la generazione dei trentenni, che in questo momento paga il prezzo maggiore della crisi economica saprà capire la necessità di studiare e di discutere nei luoghi più adatti per farlo: le piazze dove battersi contro le scelte politiche disastrose dell’Europa e del governo».