Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Pochi laureati? Meno scuola-lavoro, più orientamento universitario

Pochi laureati? Meno scuola-lavoro, più orientamento universitario

Tre interventi possibili per uscire dall’emergenza: usare una parte delle ore di alternanza scuola-lavoro perché gli studenti non sbaglino a scegliere l’università; aumentare le borse di studio; far partire - davvero - le lauree brevi professionalizzanti

19/12/2017
Decrease text size Increase text size
Corriere della sera

Gianna Fregonara e Orsola Riva

Partiamo dalla fine. Letteralmente. Siamo penultimi in Europa per numero di laureati. Solo un 30-34enne su 4. Molti meno di quel 40 per cento che l’Europa ha fissato come obiettivo entro il 2020. Non che di strada non ne sia stata fatta: dal 2002 a oggi - grazie anche alla contestata riforma del 3+2 - il tasso di laureati è raddoppiato, ma il fatto è che rispetto agli altri Paesi siamo andati troppo piano. Colpa di un insieme di fattori che vanno dal sotto finanziamento cronico dell’università (0,9 per cento del Pil contro una media Ocse dell’1,6 per cento) alla poca spendibilità del titolo di studio in un sistema industriale fatto principalmente da piccole e medie imprese a conduzione familiare. Dal caro rette (solo le blasonate università inglesi, l’Olanda e la Spagna sono più care di noi) alla mancanza di un vero sistema di formazione terziaria professionalizzante capace di sfornare in poco tempo (3 anni) laureati tagliati per il mercato del lavoro. Per non parlare del sistema del diritto allo studio che fa acqua da tutte le parti. A tutto questo si aggiungono le croniche disparità fra Nord e Sud ulteriormente peggiorate a partire dal 2008, quando sull’università si è abbattuta la forbice dei tagli voluti da Tremonti (700 milioni in meno, 10 mila ricercatori spariti). Ed è vero che gli ultimi due governi hanno invertito la tendenza tornando a investire nell’università, ma i 7 miliardi del Fondo di finanziamento ordinario stanziati quest’anno sono ancora lontani dal livello di partenza di dieci anni fa (7, 5 mld).

 

RAPPORTO OCSE-TRELLLE
L’ANOMALIA ITALIANA: LA LAUREA DÀ MENO LAVORO DEL DIPLOMA TECNICO

Dalle STEM...

Non solo mancano i laureati ma i pochi che ci sono apparentemente non soddisfano le richieste del mercato: nonostante un ragazzo su quattro ormai scelga una disciplina Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics), ancora in troppi si attardano nella macroarea disciplinare di Lettere, Storia dell’arte, Scienze politiche, Sociologia e Scienze della comunicazione. Anche se il problema in realtà sembra essere ancora un altro, trasversale ai diversi corsi di laurea. A fronte di una minoranza di laureati ultra preparati (ingegneri o filosofi poco importa: se siamo esportatori netti di cervelli è perché continuiamo a produrli), l’università italiana sforna ormai una messe di giovani privi di adeguata preparazione. Come ha certificato ormai qualche anno fa il rapporto Piaac sulle competenze degli adulti, un laureato italiano in media ha le stesse capacità linguistiche di un semplice diplomato finlandese o giapponese.

 

RAPPORTO ALMALAUREA
UNIVERSITÀ E LAVORO: GLI INGEGNERI BATTONO I MANAGER

... Alle STEAM

Sì, perché il grande non detto nel dibattito sul nostro ritardo scientifico e tecnologico è che in realtà - come dimostrano i rapporti Pisa degli ultimi dieci anni - la scuola italiana ha recuperato moltissimo terreno in matematica ma è rimasta drammaticamente indietro proprio nelle competenze linguistiche (come periodicamente denunciano i professori universitari che si ritrovano a leggere tesi di laurea con errori di ortografia da quinta elementare). Il tutto - paradossalmente - proprio mentre le grandi aziende multinazionali, di fronte alla messe di laureati fatti con lo stampino dalle più blasonate università dell’Ivy League e da Oxbridge, mostrano di apprezzare sempre di più un curriculum multiforme e articolato anche sul fronte delle cosiddette «humanities and arts». Tanto da aver coniato il neologismo Steam, dove la A per «Arts» allude proprio alla necessità di recuperare la figura quasi rinascimentale dello scienziato-umanista.

 

IL RANKING QS
ATENEI PENALIZZATI NELLE CLASSIFICHE DALLA SCARSITÀ DI FONDI

In questo quadro allarmante, la discussione sul futuro dell'università è praticamente inesistente. Eppure ci sono almeno tre linee di intervento possibile relativamente a basso costo ma di sicuro e immediato ritorno.

 

IL RAPPORTO DI ITALIADECIDE
POCHI IMPRENDITORI LAUREATI, ORA LAUREE PROFESSIONALIZZANTI

Orientamento universitario alle superiori

Primo: perché non utilizzare una parte del monte ore della cosiddetta alternanza scuola-lavoro per fare orientamento universitario? Certo che ai nostri ragazzi sarebbe utile - anzi utilissimo - un bagno di realtà nel mondo del lavoro ma poiché spesso si traduce invece in improbabili esperienze di «azienda simulata in classe» non avrebbe più senso impiegare una parte del monte ore previsto per farli dialogare, fin dal quarto anno, con il mondo dell’università, visto che una matricola su tre poi cambia corso o lascia gli studi alla fine del primo anno? Vale per i liceali (che in 8 casi su dieci dopo il diploma si immatricolano) ma anche per i diplomati dell’istituto tecnico che scelgono di proseguire gli studi (un buon trenta per cento). E ancora: accanto alla sperimentazione dei licei (o istituti tecnici) brevi di 4 anni, perché non riflettere anche se rimodulare il programma in modo che l’ultimo anno - il quinto - possa funzionare da ponte verso l’università, con un rafforzamento mirato delle materie - scientifiche o umanistiche a seconda dei casi - che possono servire nel successivo corso di studi?

 

RAPPORTO ALMALAUREA
I LAUREATI GUADAGNANO MENO DI 10 ANNI FA. E FANNO LE VALIGIE

Più diritto allo studio

Secondo: è assolutamente indispensabile che Stato e regioni investano di più nel diritto allo studio. Appena uno studente su 10 beneficia di una borsa di studio mentre 9 su dieci iscritti a un corso di laurea di primo o secondo livello non ricevono alcun aiuto finanziario, per non parlare degli «idonei non beneficiari», ovvero gli studenti che avrebbero diritto ad una borsa di studio ma non ce l’hanno semplicemente perché mancano i soldi. Anche la cosiddetta no-tax area varata dal governo nella scorsa legge di bilancio per i ragazzi con famiglie con redditi al di sotto dei 13 mila euro intercetta una fetta davvero troppo piccola rispetto alla platea di coloro che avrebbero bisogno di un sostegno economico per poter proseguire gli studi. Mentre la percentuale di chi usufruisce di prestiti bancari garantiti, benché in aumento, non raggiunge ancora nemmeno l’1 per cento. I dieci milioni per le borse di studio misteriosamente spariti dal maxi-emendamento alla Legge di Bilancio approvato due settimane fa al Senato non sono un buon segnale. L'aumento previsto per il diritto allo studio è sceso all'ultimo minuto da 30 a 20 milioni. A meno che la Camera non ci ripensi, così saltano 3.500 borse in un colpo solo.

 

IL FOCUS
GUERRA AI FUORI CORSO
GLI ATENEI CONTRO I RITARDATARI CRONICI

Lauree professionalizzanti

Terzo: se ne parlava da anni, con raccomandazioni anche dalla Banca d'Italia e dall'Ocse, ma l’atteso decreto ministeriale per le lauree professionalizzanti arrivato qualche giorno fa sembra aver partorito un topolino. I nuovi corsi universitari triennali che prenderanno avvio a ottobre 2018 in stretto raccordo con gli ordini professionali dovrebbero servire a fornire profili lavorativi il più possibile coerenti con le richieste del mercato: super periti industriali, chimici ed agrari ma anche guide turistiche ed esperti di cantieri e scavi archeologici. Ma per ora si parla di appena 12 corsi a numero chiuso in tutta Italia per un totale di 500-600 giovani. Se l'obiettivo è allinearci con gli altri Paesi europei, dove le lauree professionalizzanti pesano per un buon 25 per cento sul totale dei laureati, a questo ritmo ci vorranno cent'anni. L'impressione è che l'avvio di questa rivoluzione tanto attesa anche dal mondo delle imprese sia stato segnato dall'esigenza di non interferire con il sistema degli Its, gli Istituti tecnici superiori di durata biennale che, nonostante gli ottimi risultati occupazionali, restano anch'essi un fenomeno marginale: 9.000 mila iscritti in tutta Italia. Due debolezze non fanno una forza: a meno di non mettere il turbo ai nuovi corsi universitari fin dal secondo anno, si rischia un clamoroso flop.