Posti nido, 10 anni di ritardi. Ora Draghi ci prova con il Recovery
Lontano l'obiettivo del 33% di copertura previsto per il 2010, soprattutto nelle regioni del sud
Emanuela Micucci
Un vero e proprio Piano Infanzia straordinario nel Recovery Plan (Pnrr), che si affianchi a quello biennale nazionale di prossima presentazione. Lo prevede la Mozione Infanzia, a prima firma Paolo Lattanzio (Pd), approvata martedì scorso dalla Camera con il parere favorevole della ministra per la famiglia Elena Bonetti. Tra gli impegni «iniziative per estendere i servizi educativi per i bambini di età compresa tra 0-3 anni potenziando la rete dei servizi pubblici» e «la realizzazione degli asili nido pubblici per raggiungere almeno il 33% di posti su base regionale» e la predisposizione in un'ottica a lungo periodo di un piano nazionale asili nido finalizzato a garantire l'accesso a tutti i bambini da 0 a 3 anni, realizzando adeguate strutture, soprattutto nel Sud, e prevedendo in conseguente piano di assunzione di personale qualificato, anche trasformando in nidi strutture ed edifici comunali inutilizzati, in particolare nelle aree versi, e incentivando gli agrinido. Impegni ambiziosi che, in base a quanto già previsto nel Pnrr, si tradurranno in 104.656 nuovi posti nido per garantire l'obiettivo europeo del 33% di offerta: mancherebbero cioè all'appello quasi il 30% degli attuali 335.829 posti.
Secondo l'ultimo report dell'Istat sull'offerta di asili nido e servizi integrativi per la prima infanzia, relativo all'anno educativo 2018/19, infatti, i posti disponibili per i bambini fino ai 2 anni compiti coprono solo il 25,5% dei potenziali utenti, una percentuale ancora sotto il parametro fissato nel 2002, ben 19 anni fa, dall'Unione europea addirittura per il 2010. Dopo 11 anni da quella scadenza l'Italia è ancora lontana 7,5 punti da quel 33%. Per di più con un ampio divario tra Centronord e Mezzogiorno.
Sebbene le regioni del Sud registrino l'incremento più significativo rispetto all'anno precedente: +5,6%. Ma Bonetti già si è spinta oltre: «in un'ottica più ambiziosa», dichiara nell'audizione sul Pnrr, «qualora il nostro Paese puntasse a garantire entro il 2026 il 55% dei posti per la prima infanzia, sarebbe necessario realizzare approssimativamente 400mila nuovi posti». Intanto, però, nell'ultimo anno l'incremento a livello nazionale è stato solo del +0,3%, dovuto principalmente al settore pubblico che ha fatto circa 2.000 posti in più. Mentre nel settore privato si rivela un calo di circa 1.000 posti.
Tendenzialmente i servizi per la prima infanzia si concentrano nei grandi comuni e nelle aree più sviluppate economicamente. I comuni capoluogo di provincia hanno raggiunto il 33% di copertura, tutti gli altri si attestano su una media di 22,4 posti per 100 residenti sotto i 3 anni. Considerando le sole aree metropolitane, poi, il divario del Sud rispetto al Centronord rimane dominante: le città di Firenze (48,2%), Bologna (46,9%) e Roma (44%) si collocano sopra il 40% di copertura, poco sotto si posizionano le altre città metropolitane del Centronord. Mentre in netto distacco si collocano quelle del Mezzogiorno, tutte con livelli inferiori al 15%, ad eccezione di Cagliari al 26,5%. A livello territoriale la copertura più alta si registra in Valle d'Aosta (45,7%), Umbria (42,7%), Emilia Romagna (39,2%), Toscana (36,3%) e nella provincia di Trento (38,4%). Al Sud, tuttavia, si registrano l'incremento più significativo di posti. Miglioramenti che, spiega l'Istat, «vanno nella direzione delle misure statali attuate a sostegno dello sviluppo del sistema socio-educativo per la prima infanzia e del riequilibrio delle differenze geografiche»: dai Piani d'azione per la coesione (Pac), introdotti già nel 2012 dal ministero per lo sviluppo e la coesione d'intesa con la Commissione europea, al decreto legislativo 65 del 2017 fino al Piano di azione nazionale per il Sistema integrato 0-6 anni.
Nel 2018 è cresciuta anche la spesa corrente dei comuni per i servizi educativi: +3% a livello nazionale, che raddoppia al 6% proprio al Sud. Per una spesa complessiva di circa 1 miliardo e 501 milioni di euro, di cui il 19,5% rimborsata dalle famiglie sotto forma di compartecipazione. Tuttavia, proprio i costi del servizio, rivela l'Istat, sono la causa più frequente di rinuncia al nido, passata dall'8% del 2008 al 12,8% nel 2019. «È nota la sperequazione tra Nord e Sud per la spesa sociale pro capite», osserva la ministra per il Sud e la coesione territoriale Mara Carfagna. «Si intende prevedere con norma che qualifichi i servizi educativi per l'infanzia come una prestazione essenziale per la collettività, anche al fine di innalzare in maniera netta il tasso di partecipazione attiva delle donne nel mercato del lavoro».