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Precari con la laurea Le università perdono iscritti e matricole

Cresce il numero di chi non trova lavoro

08/03/2011
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Corriere della sera

Lorenzo Salvia

ROMA — Aumentano i disoccupati, i precari, il lavoro nero. E per l’unico segno meno, triste e solitario, prego vedere alla voce stipendio. Il vento della crisi soffia forte anche sui laureati, che pure hanno qualche carta in più da giocare al tavolo del lavoro. La conferma arriva da Alma-Laurea che è andata a vedere cosa è successo ai nostri laureati un anno dopo la discussione della tesi, gli auguri, le speranze e tutto il resto. Forse non è una sorpresa ma non c’è nemmeno un motivo per sorridere. Rispetto a tre anni fa il numero dei disoccupati aumenta per tutte le categorie di dottori sfornate dalle nostre università. Per chi ha scelto una laurea specialistica a ciclo siamo passati dall’ 8,6%al 16,5%. Certo, molto dipende dal tipo di studi: Medicina, grazie al numero chiuso, un posto lo trova quasi a tutti mentre nell’area geo— biologica a cercare lavoro un anno dopo è ancora un giovane su quattro. Ma il problema non è solo lavoro sì, lavoro no. Bisogna vedere che tipo di contratto si ha in tasca. Il tempo indeterminato è il privilegio di una minoranza, la fetta più grande (e in crescita) è quella dei precari che sfiora il 50%. Ma il dato più preoccupante è l’aumento del lavoro nero che supera il 10%e riguarda soprattutto veterinari e architetti. Lo stipendio, invece, diventa sempre più magro. Rispetto al 2007 chi ha sudato cinque anni per arrivare ad una laurea specialistica è sceso da 1.210 a 1.149 euro. Cifre deprimenti, con il solito contorno ancor più deprimente: la busta paga delle donne è più leggera di quella degli uomini (in media del 30%), chi ha un padre dirigente guadagna più di chi ha un padre operaio, ed in fondo è meglio lasciare l’Italia perché chi qui prende 1.300 euro all’estero arriverebbe a 2 mila. Questo non vuol dire che studiare non convenga. «Se si guarda l’intera vita lavorativa — spiega Andrea Cammelli, direttore di Alma-Laurea — l’università è sempre un buon investimento. Rispetto ai diplomati il tasso di occupazione sale dal 66 al 77%, mentre lo stipendio aumenta del 55%» . Eppure all’università i giovani italiani non sembrano credere più. Nell’ultimo anno — secondo i dati del Cun, il Consiglio universitario nazionale — il numero degli immatricolati è sceso del 5%. Un calo che si fa sentire soprattutto al Sud e salva solo gli atenei privati: «Una tendenza pericolosa — dice il presidente del Cun, Andrea Lenzi — perché rischiamo di avere una massa di giovani di serie B che perderà l’inevitabile competizione con i ragazzi degli altri Paesi europei» . Cosa fare per riannodare i fili che legano università e imprese? Il rettore della Sapienza, Luigi Frati, ha la sua ricetta: «Stiamo introducendo lo stage obbligatorio prima della laurea. La nostra idea è far pesare il giudizio del datore di lavoro sul voto finale» .