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Quell'item malizioso

Sulla batteria dei test che vorrebbero “misurare” le conoscenze di base degli aspiranti dirigenti scolastici italiani si è detto ormai di tutto

29/09/2011
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ScuolaOggi

di Red Rom

Chi di item ferisce…

Sulla batteria dei test che vorrebbero “misurare” le conoscenze di base degli aspiranti dirigenti scolastici italiani si è detto ormai di tutto. Errori, ripetizioni, approssimazioni, refusi, minuzie, dettagli… quisquiglie, pinzillacchere (questi ultimi richiami, in verità, sono di Totò…) e non è il caso di infierire oltre. D’altra parte, se l’esigenza consolatoria dei candidati (fortemente voluta dai sindacati) è quella di poter disporre in anteprima di tutto il “parco” delle possibili domande (almeno 5.000), gli effetti sono più che certi: sfarinamento delle conoscenze e dei saperi per il futuro dirigente in una miriade, oltre sessanta, di discipline, materie, aree tematiche, che vanno bel al di là di ciò che oggi viene richiesto ad un dirigente pubblico per svolgere un’efficace funzione di leadership educativa, in una scuola sfiduciata ed alle prese con una crisi non certo di stagione, sulla sua funzione nella società contemporanea. Tant’è, bisognerebbe pensarci per tempo e non avvicinarsi ai concorsi con la solita imperizia suicida: ci riferiamo anche al concorso in atto per la figura dell’ispettore tecnico, per cui si sono attesi 17 anni (17!) per bandirne uno in grado di supplire alle carenze del servizio ispettivo italiano (40 esemplari o poco più di ispettori in servizio, a fronte di un organico tabellare di circa 300 posti). Per i futuri dirigenti, avendo una platea di 42.000 candidati, una procedura di preselezione si impone, ma c’è modo e modo.
 
Ci sono delle alternative?
 
Focalizzazione su temi essenziali, rigorosa supervisione scientifica, accuratezza docimologica, sono elementi indispensabili per un’operazione selettiva seria (preferibile fissare una quota di ammessi in proporzione ai posti a concorso e non tanto una soglia assoluta, in questo caso dell’80% dei quesiti corretti). Ma anche nel migliore dei casi, resta sempre il dubbio che scegliere dirigenti di profilo così elevato attraverso una procedura che sollecita un approccio mnemonico-percettivo-analitico da applicare su conoscenze minuziose non sia la soluzione migliore. Solo bandendo ogni anno il concorso per dirigenti (come in Francia), solo articolandolo su scritture professionali strategiche e simulazioni (come in Francia), solo assicurando una totale trasparenza di feed-back tra commissioni e candidati (come in Francia), solo svolgendo attività formative preliminari pubbliche (come in Francia) si può pensare di reclutare una dirigenza che sappia il fatto suo.[1].
 
Analisi di caso
 
Già sono state fatte analisi puntuali sul “senso” di certe domande, poste non nonchalance, come se contenessero dati di fatto inoppugnabili, mentre celano evidenti prese di posizione, spesso opinabili, spesso ideologiche. Facciamo un esempio, il quesito 465 dell’area 4 (quella denominata “pedagogica”). Il quesito, apparentemente innocuo, recita: “Le valutazioni centralizzate degli apprendimenti possono essere utili alle famiglie per:…”. La risposta indicata come corretta afferma: “…favorire la libera scelta e il confronto tra scuole”. Non fa una piega, ma non accontentiamoci dell’ovvietà, noi almeno non siamo sotto esame. Intanto ricostruiamo il profilo giuridico della questione. In Italia sono state introdotte valutazioni centralizzate degli apprendimenti, ad opera dell’Invalsi, prima in via sperimentale (Progetti Pilota), poi in modo sistematico con la legge 176/2007 che le ha estese, in via obbligatoria, ad intere leve scolastiche (seconde e quinte elementari, prime e terze medie, seconde e quinte superiori). La motivazione della legge è condivisibile: verificare –attraverso la valutazione esterna – le conoscenze e le abilità raggiunte dagli allievi e apprezzare il “valore aggiunto” realizzato dalle scuole. Ma non si richiama affatto la pubblicizzazione dei risultati, magari ai fini di promuovere la concorrenza (una sorta di competizione per la qualità) tra scuola. Opzione che pure esiste nel dibattito, che viene praticata in altri paesi, ma che non trova spazio nelle Direttive dell’Invalsi (tra tutte la n. 74/2008) e che è stata più volte ricusata pubblicamente dal presidente uscente dell’Invalsi, Piero Cipollone[2]. L’idea dell’istituto, infatti, è quella di restituire i dati sugli apprendimenti in via riservata alle scuole affinché le medesime si impegnino in azioni di autoanalisi, comparazione, miglioramento, sviluppo, affidate alla loro responsabilità istituzionale e professionale. Solo in questo modo l’operazione “rilevazioni strutturate degli apprendimenti” può essere vissuta dalle scuola come azione conoscitiva, da gestire con serietà (certo senza enfasi, perché sarebbero tanti altri i dati da mettere “sotto osservazione”), per ricavarne utili indicazioni per il miglioramento dei risultati, avendo consapevolezza del proprio “valore aggiunto” (un concetto stimolante, ma da approfondire).
 
I rischi della competizione
 
Sono troppi i riscontri negativi che mettono in evidenza come la pubblicazione “competitiva” dei dati possa determinare una polarizzazione tra scuole “buone” e scuole “cattive”, perché gli utenti, liberi di scegliere, ma non tutti in condizioni di farlo, abbandonerebbero le scuole considerate cattive, per dirigersi verso quelle considerate migliori, finendo con l’aggravare ulteriormente il divario e condannando certe scuole all’ulteriore emarginazione. La polarizzazione è assicurata. Già oggi, tra l’altro, il genitore può scegliersi la scuola che desidera e questo non sempre produce equità nella composizione delle popolazioni scolastiche. Le scuole italiane sono quelle che manifestano le maggiori differenze nei risultati tra di loro, anche perché risentono più da vicino delle condizioni di contesto (territorio e background degli utenti). Un meccanismo liberista, stimolato dalla pubblicità dei risultati, spingerebbe ancora più a fondo questo fenomeno. Anche fonti insospettabili, come la Fondazione Agnelli[3], mettono in guardia dall’usare il tasto della concorrenza tra scuole. La via maestra è mettere le scuole nelle condizioni di dare il meglio di sé, incentivando i comportamenti virtuosi, la continuità di leadership, la coesione del personale, l’atteggiamento di ricerca e la responsabilità verso i risultati. Insomma, c’è un’ampia possibilità di aprire un dibattito pubblico sul senso della valutazione, che riguarderebbe certamente il futuro della nostra scuola. Ma non si fa prevalere una tesi alla chetichella, approfittando dell’ansia da prestazione convergente nei test selettivi dei futuri dirigenti scolastici…
Dunque, la domanda avrebbe dovuto essere più cauta e forse recitare: “Se si rendessero pubblici[4] i risultati delle rilevazioni degli apprendimenti [perchè ad oggi non è stata presa questa decisione], quali potrebbero essere i vantaggi per i genitori?”, ma subito dopo una seconda domanda: “Ma se si rendessero pubblici i risultati… quali potrebbero essere gli svantaggi per il sistema educativo?” Un po’ di eleganza, please…
 

[1] G.Barzanò, Diventare dirigente in Francia, in “Rivista dell’istruzione”, n. 4, luglio-agosto 2010, Maggioli, illustra le procedure di reclutamento dei dirigenti scolastici in Francia cui ci siamo ispirati. Un esempio virtuoso realizzatosi in Italia è il recente concorso per dirigenti svoltosi in provincia di Trento e di cui parla M.Ruscelli, Diventare dirigenti scolastici in Italia…anzi, in Trentino, in “Rivista dell’istruzione”, n. 6, novembre-dicembre 2011, Maggioli..

[2] Si veda l’intervis rilasciata da Piero Cipollone, Se non ci fosse valutazione: una scuola senza bussola e meno equa, in “Rivista dell’istruzione”, n. 3, maggio-giugno 2010, Maggioli.

[3] “…la concorrenza fra le scuole può portare a effetti francamente discutibili…un prezzo inaccettabile per un sistema pubblico dell’istruzione che punti a un miglioramento complessivo della qualità del sistema”, in Fondazione Giovanni Agnelli, Rapporto sulla scuola in Italia. 2009, Editori Laterza, Bari, 2009.

[4] Ancora più correttamente, si doveva dire: “Secondo i sostenitori della pubblicità dei risultati delle rilevazioni centralizzate (magari citando qualche fonte autorevole), quali sono….”.