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Ranking Università, eppure ci sono buoni segnali

In Europa, e in Italia, sono forti le discussioni sui metodi adottati, di impronta anglosassone, per offrire questi punteggi e queste graduatorie.

17/08/2014
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la Repubblica

Corrado Zunino


È appena uscita una delle cinque classifiche che contano per valutare le migliori università nel mondo. È l'Academic ranking of world universities, prodotto dall'Università Jiao Tong di Shanghai (Cina). Dice, come le altre quattro, che gli Stati Uniti hanno i migliori atenei: sedici sui primi diciotto in questo caso, e da dodici anni guida Harvard. Dice anche che le altre due università "non Usa" valutate nelle prime dieci sono Cambridge e Oxford (Regno Unito). E che nei "top cento" 52 sono nordamericane, 4 canadesi, 37 europee, 4 australiane e 3 giapponesi.

Tra le prime cento università, non ce n'è una italiana. E questa non è una buona notizia. Nel ranking di Shanghai non siamo tra i primi cento dal 2006, quando La Sapienza di Roma, il terzo ateneo europeo per grandezza, era centesima. Non abbiamo nostre accademie neppure tra i primi centocinquanta posti quest'anno, ed è una notizia peggiore visto che fino all'anno scorso ne avevamo due in fascia due: La Sapienza (che ci stava dal 2006) e Pisa (dal 2004). In verità le cose  -  secondo la fotografia del ranking cinese, il precursore delle classifiche universitarie globali, un punto di riferimento per i ricercatori nel mondo  - non sono così nere. Anzi, Shanghai ranking ci suggerisce un recupero italiano dopo i due anni più bui: il 2012 e il 2013. Vediamo perché.

L'uscita dai top 100 e, successivamente, dai  top 150 è ascrivibile alla crisi che da dieci anni (l'era Frati, quattro anni da vicerettore, sei da rettore) sta vivendo la più importante università italiana: La Sapienza. Siamo alla vigilia di elezioni importanti, che già dicono  - a prescindere dalle scelte  -  una cosa fondamentale: Luigi Frati non sarà più il rettore, didattica, ricerca, credibilità degli esami e dei percorsi sotto la Minerva non potranno che migliorare. Nel 2003 La Sapienza era la settantesima università al mondo, secondo l'Academic ranking. Grazie alla decrescita qualitativa del primo ateneo d'Italia, siamo usciti dall'eccellenza mondiale. Altre università, però, mostrano segni di ripresa, performance in crescita.

Innanzitutto, nell'intero ranking (cinquecento posizioni) quest'anno entrano ventun università italiane. Erano diciannove l'anno scorso, il peggiore, venti nel 2012. Un'inversione di tendenza? Possibile. Se non abbiamo rappresentanti italiane tra le prime centocinquanta, se ne contano sei nelle prime duecento posizioni. L'anno scorso erano solo quattro. Dei sei atenei indicati tra il 151° e il 200° posto, due salgono (Bologna e Torino), due si confermano (Milano e Padova), due scendono (La Sapienza e Pisa, appunto). Per l'Alma Mater bolognese questa è la migliore performance degli ultimi sei anni, per Torino la migliore dell'intera serie (iniziata nel 2002). Ancora, su ventun università nove confermano la posizione, sette la migliorano e cinque la peggiorano. Salgono Milano Bicocca (mai così in alto) e Roma Tor Vergata. Entrano gli atenei di Trieste (mancava dal 2006), Cagliari (dal 2008), Parma (miglior performance da quando esiste la classifica). Il Politecnico di Milano, restando nella sua fascia, offre il punteggio più alto in dodici anni. Scendono Genova (un crollo) e Perugia. Esce dai "500" il Politecnico di Torino. Restano fuori Bari e Siena. Nel 2004 il Shanghai ranking contava ventitré università italiane in classifica (due in più di oggi), La Sapienza tra le prime cento e Milano e Pisa tra le prime centocinquanta. Dieci anni dopo non siamo lontani.

In Europa, e in Italia, sono forti le discussioni sui metodi adottati, di impronta anglosassone, per offrire questi punteggi e queste graduatorie. Il Shanghai ranking si forma con un venti per cento del punteggio assegnato ai premi Nobel e ai medagliati nelle singole discipline provenienti dallo staff dell'università in esame. Un altro venti si assegna grazie ai ricercatori più citati in ventun materie scelte, ancora un venti per cento per i lavori pubblicati su Nature e Science, infine venti per cento per i lavori citati in due indici (Science citation e Social science citation) rintracciabili su un database internazionalmente riconosciuto. Valgono il dieci per cento per la loro università gli "alunni" che hanno ottenuto un Nobel o una medaglia nella loro disciplina e un dieci per cento finale le performance dei singoli accademici.

C'è una seconda classifica che conferma la ripresa delle valutazioni nel mondo dei nostri istituti accademici. Se i "precursori cinesi" offrono ranking da dodici anni, il londinese Times Higher education di Thomson Reuters paragona le facoltà del mondo da quattro stagioni, ma è altrettanto seguito e pesato. Per Thomson Reuters  -  ultima classifica stilata il 2 ottobre 2013  -  l'Università di Harvard viaggia tra il secondo e il quarto posto cedendo la leadership mondiale al California institute of technology. In questa valutazione restiamo fuori dai primi duecento posti (non ci siamo mai stati, comunque, in alcuna delle quattro stagioni), pur tuttavia nell'ultima conta l'Università di Trento ha fatto un balzo di tre fasce diventando l'ateneo italiano "con più reputazione": tra il 201° e il 225° posto assegnato e un punteggio alto nelle "citazioni" (71,5 su 100) e nel profilo internazionale (54,7). Tra le ragioni del successo di Trento, sostiene Thomson Reuters, ci sono i professori onorari Mikhail Gorbaciov e il Dalai Lama e l'offerta di master e PhD in inglese. Nel ranking londinese sono quindici le università tra le prime 400, erano quattordici l'anno scorso, tredici nel 2012. Nove di queste sono in crescita (la Bicocca di Milano, Trieste e Torino viaggiano tra il 226° e il 250° posto), cinque si confermano e solo una è in fase negativa: Modena, uscita dalla graduatoria.

La redazione di Red Lion Square per stilare le classifiche si serve di 13 performance raggruppate in cinque aree: l'insegnamento-apprendimento (vale il 30 per cento), il volume, la qualità e i risultati della ricerca (30 per cento), l'influenza delle ricerche, che poi sono le citazioni e valgono un altro 30 per cento, il profilo internazionale di tutto l'ateneo (7,5 per cento) e la capacità di innovazione industriale della sua ricerca (2,5 per cento).

Il Cwur (Center for world university rankings di Jedda, Arabia Saudita) nel report 2014 posiziona 24 università italiane nei primi 500 posti: qui la Sapienza è 91ª, ma perde ventinove posizioni rispetto all'anno prima. Il Qs world university rankings (Londra) nel 2013 ha inserito, invece, sedici università italiane tra le prime 500. Bologna è 188 ª, otto posizioni davanti alla Sapienza, il Politecnico di Milano 230° e la Statale di Milano 235ª. Trento, tra i primi 225 per la Thomson, qui è solo 441°. Infine, il National Taiwan university ranking (2013): La Sapienza 83ª, Milano 94°, Bologna 118ª, poi Torino, Napoli e Pisa. Ventinove atenei nella top 500 con Trento che qui è al 494° posto.