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Rassegna it: Scontro alla Camera sui tagli alla scuola

La discussione sul decreto legge 134: confermata la riduzione di 42mila posti tra docenti e personale Ata. Per il Pdl serve a "razionalizzare la spesa" ma l'opposizione accusa: "Precari discriminati".

14/10/2009
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Rassegna.it

di Valerio Strinati

Attività della Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati: precari della scuola e parità di genere

Nelle sedute di martedì 6, mercoledì 7 e giovedì 8 ottobre, la Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati ha avviato l’esame in sede referente del disegno di legge n. 2723, di conversione del decreto legge n. 134 del 2009, recante disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l’anno 2009-2010. In apertura di seduta, il presidente Moffa ha ricordato la decisione dell’Ufficio di Presidenza di svolgere nella mattina di giovedì 8 ottobre un ciclo di audizioni informali di rappresentanti delle organizzazioni sindacali confederali del comparto dell’istruzione, del Comitato nazionale degli insegnanti precari, nonché della Conferenza delle regioni e delle province autonome.

La Commissione ha quindi convenuto di fissare il termine per la presentazione di emendamenti alle ore 11 di lunedì 12 ottobre.

La relatrice Pelino (Pdl) ha quindi illustrato il contenuto del decreto legge n. 134, ricordando che, a seguito delle misure adottate dal governo, su oltre 857.000 docenti impiegati nell’anno scolastico 2008-09 (dei quali circa 715.000 di ruolo), è stato previsto un «taglio» di circa 42.000 posti. Poiché dal primo settembre 2009 circa 32.000 docenti hanno avuto accesso alla pensione, circa 10.000 posti non hanno potuto essere coperti con personale supplente con incarico annuale (o, comunque, fino al 30 giugno 2010); considerato inoltre che per varie ragioni (tra le quali il fenomeno dei cosiddetti «spezzoni di orario») il numero complessivo di personale interessato va valutato in eccesso, si stima in circa 18.000 unità il numero di insegnanti che non avranno, nel corso dell’anno, né un incarico annuale né un incarico fino al termine delle lezioni.

Il decreto legge n. 134, secondo la relatrice, persegue il fine di assicurare una adeguata continuità lavorativa agli insegnanti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento ed al personale Ata iscritto nelle graduatorie permanenti, già titolari di un incarico annuale nel precedente anno scolastico 2008-2009. Esso inoltre affianca la convenzione stipulata con l’Inps per la gestione informatizzata dell’attivazione e della cessazione dell’indennità di disoccupazione.

La relatrice ha quindi dato conto dei contenuti del decreto legge, soffermandosi in particolare sul comma 2 dell’articolo 1, che riconosce ai lavoratori precari, in deroga alla normativa vigente, precedenza assoluta nel conferimento delle supplenze per l’anno scolastico 2009-10 nel caso in cui, per carenza di posti disponibili, non abbiano potuto ottenere il rinnovo dell’incarico annuale. Ha quindi richiamato la facoltà per l’amministrazione scolastica di promuovere (comma 3 dell’articolo 1), in collaborazione con le regioni e a valere su risorse finanziarie delle regioni medesime, specifici progetti per attività di carattere straordinario, di durata variabile da tre a otto mesi, da realizzare prioritariamente mediante l’utilizzo dei suddetti lavoratori precari, percettori di indennità di disoccupazione, ai quali può anche essere corrisposto un compenso di partecipazione e ai quali viene riconosciuta la valutazione dell’intero anno di servizio ai fini dell’attribuzione del punteggio nelle graduatorie (comma 4 dell’articolo 1). Le predette disposizioni seguono gli accordi già conclusi tra il Ministero e le regioni Sardegna, Sicilia, Campania, Lombardia, Molise, Veneto e Puglia, in una logica di utilizzazione delle risorse che, secondo la relatrice, ricalca le politiche «anti-crisi» assunte nei mesi scorsi dal governo, mirate a trasformare politiche di carattere assistenziale in «politiche attive», facendo anche dell’indennità di disoccupazione dell’Inps una sorta di «integrazione al reddito» per i periodi di «non lavoro», tra una supplenza breve ed un’altra.

La relatrice ha quindi ricordato che il comma 1 dell’articolo 1 del decreto-legge n. 134 integra la legge n. 124 del 1999 prevedendo che i contratti a tempo determinato non possano in alcun caso trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato né consentire la maturazione di anzianità utile ai fini retributivi prima della immissione in ruolo: la disposizione – ha fatto presente la relatrice - conferma la prassi applicativa in atto, che esclude l’attribuzione degli scatti biennali ai docenti (con l’eccezione dei docenti di religione non di ruolo) con contratti a tempo determinato, già previsti, per le supplenze annuali, dall’articolo 53, comma 3, della legge n. 312 del 1980. La relatrice ha richiamato in proposito il parere del Comitato per la legislazione, che ha invitato a valutare l’opportunità di abrogare esplicitamente la disposizione contenuta nell’articolo 53 della legge n. 312 del 1980, che appare invece riconoscere al personale docente non di ruolo la maturazione dell’anzianità a fini retributivi.

Nel sottolineare l’esigenza di una riforma organica del reclutamento del personale docente e dell’ assegnazione delle supplenze, il deputato Fedriga (LNP) si è detto dubbioso sulla parte del provvedimento che riconosce precedenza assoluta nel conferimento delle supplenze per l’anno scolastico 2009-10 ai precari già titolari di incarico annuale (o fino al termine della attività didattiche) nel precedente anno scolastico. A suo avviso, tale disposizione reca un pregiudizio a coloro che, iscritti da anni nelle graduatorie, rischiano di vedersi superati da tale personale precario nell’assegnazione delle supplenze, anche temporanee.

Nel motivare la loro contrarietà al decreto-legge n. 134, i deputati del Gruppo del Partito democratico intervenuti (Mattesini, De Torre, Gnocchi, Miglioli, Madia, Coscia, Santagata, Schirru, Rampi, Turco) hanno richiamato il rilevante deficit italiano nel settore dell’educazione, segnalato ultimamente dall’Ocse, anche in termini di penalizzazione del capitale umano, dato che gli stipendi degli insegnanti italiani sono tra i più bassi d’Europa. Gli intervenuti hanno ricordato che mentre il governo Prodi aveva previsto un piano triennale teso al graduale assorbimento dei precari, ponendo peraltro le basi per un rilancio complessivo del sistema scolastico, il governo Berlusconi ha inaugurato una politica che a fronte della crescita della popolazione scolastica, ha operato un drastico ridimensionamento dei servizi, prevedendo tagli sostanziali del personale docente e delle risorse ed ignorando, sostanzialmente, il fenomeno del precariato.

Secondo gli intervenuti, inoltre, il provvedimento - imposto d’autorità senza alcune forma di interlocuzione con le parti sociali e le stesse istituzioni coinvolte - presenta i caratteri di una misura “tampone”, che, senza risolvere il problema del precariato, scarica su enti previdenziali ed autonomie locali il peso del finanziamento degli oneri, connessi al riconoscimento dell’indennità di disoccupazione (da attuarsi secondo procedure generiche e indefinite) e all’attivazione di specifici progetti per attività di carattere straordinario dal contenuto assai sfumato (a totale discrezione delle amministrazioni), suscettibili, peraltro, di determinare significative disparità di trattamento tra regione e regione, aggravate dalla scelta di non avere coinvolto la Conferenza delle regioni per assicurare una certa uniformità del meccanismo applicativo,

Critiche più specifiche sono state rivolte al comma 1 dell’articolo 1, considerato in contrasto con il diritto comunitario che vieta ogni forma di discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, se non in presenza di ragioni obiettive, che il governo ritiene invece di ravvisare nella disciplina speciale dei lavoratori della scuola con contratto a tempo determinato. Il decreto legge n. 134, inoltre, sancisce la persistente difformità di trattamento tra insegnanti ordinari e docenti di religione non di ruolo, ai quali ultimi viene riconosciuta la maturazione di scatti stipendiali biennali; malgrado numerose pronunce giurisprudenziali - a livello nazionale ed europeo – abbiano messo in luce questa anomalia, il governo ha compiuto una scelta che pone in competizione lavoratori precari appartenenti a varie categorie (alcune delle quali, peraltro, completamente ignorate) e introduce gravi elementi di discriminazione tra docenti ordinari e docenti di religione.

Per il Gruppo del Popolo della libertà, il deputato Cazzola ed il Presidente Moffa, dopo aver ricordato il carattere fisiologico del processo di formazione del precariato della scuola, non imputabile alla responsabilità di un singolo governo, hanno criticato il sistema con cui un’elevata percentuale di docenti ha conseguito l’immissione in ruolo negli anni passati, in base a meccanismi ope legis, che eludono una vera e propria procedura concorsuale. In un successivo intervento il deputato Cazzola ha poi ricordato che il tentativo di risparmiare e razionalizzare il settore del personale scolastico è stato svolto anche nella passata legislatura, come dimostra la legge finanziaria per il 2007, che ha previsto una forte riduzione, a decorrere dall’anno scolastico 2007-2008, di unità di personale docente e ATA, peraltro accompagnata da una ulteriore riduzione nell’anno successivo, con consistenti tagli delle spese, sino a 1.400 milioni circa per l’anno finanziario 2009. Proprio in quanto anche i precedenti Governi hanno ritenuto opportuno fare i conti con gli oneri finanziari prodotti dal sistema scolastico, era doveroso per il governo in carica intervenire in una situazione in cui il personale precario della scuola ammonta a 260.000 unità, con una misura a carattere emergenziale che, però prepara una exit strategy, consistente nel blocco delle graduatorie e nella definizione di nuove regole di reclutamento, per dare una risposta alle crescenti esigenze formative dell’intera popolazione scolastica, nel presupposto che la spesa per l’educazione non possa tradursi meccanicamente in spesa per il personale.

Secondo il deputato Delfino (UdC), il decreto legge n. 134 affronta il problema della scuola in un’ottica parziale, circoscritta alle ragioni del personale docente, mentre ignora temi strategici come la parità scolastica, il diritto allo studio e la libertà di scelta dell’istruzione. Per l’ennesima volta, a suo avviso, il governo è intervenuto in modo frettoloso su materie delicate, senza tenere presente che la tendenziale riduzione degli investimenti pubblici nel settore scolastico (iniziata con il decreto-legge n. 112 del 2008), invece di tradursi in una razionalizzazione oculata in grado di colpire gli sprechi esistenti e premiare le amministrazioni più virtuose, ha sottratto risorse a tutti i settori della scuola, senza operare le opportune distinzioni a livello territoriale, in violazione delle prerogative delle autonomie scolastiche e locali. Il provvedimento in conversione è - ha aggiunto il deputato Delfino - parziale e di limitato respiro, ispirato da una logica «ragionieristica», che introduce significative disparità di trattamento tra gli stessi precari, generando ulteriori conflitti e divisioni a aggravando le già serie difficoltà del comparto scuola.

Nel replicare agli intervenuti, la relatrice Pelino ha rivendicato al governo il merito di avere avviato un percorso importante, in una fase di grande difficoltà per il Paese, non soltanto nel settore della scuola, per evitare gli sprechi e rafforzare la produttività; non è un caso, dunque, che talune organizzazioni ascoltate nel corso delle audizioni informali abbiano riconosciuto l’opportunità delle le disposizioni contenute nel decreto-legge n. 134, sebbene esse configurino un intervento parziale e certamente migliorabile, anche con il contributo del dibattito parlamentare.

Il sottosegretario Pizza, nel dichiarare la sua disponibilità a valutare qualsiasi proposta di modifica tesa al miglioramento del testo, da non considerare «blindato», ha sottolineato la necessità di porre rimedio all’impiego di finanze statali connesso allo svolgimento di lunghi contenziosi giudiziari, causati da una legislazione spesso oscura e lacunosa, e pertanto ha auspicato l’adozione di un testo unico in materia di istruzione, osservando poi che il fenomeno del precariato nella scuola si è sviluppato negli anni proprio sulla spinta dello stratificarsi di una serie di normative contraddittorie tra di loro, che hanno dato vita a delle vere e proprie «zone grigie», entro le quali sono proliferate le interpretazioni giuridiche più disparate.