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Reclutamento e carriera dei docenti, il governo vuole far passare per decreto il nuovo piano. Ira dei sindacati: “Confronto non può ridursi alle slides”

A creare lo scontro è proprio il metodo con il quale si sta portando avanti la riforma. Il provvedimento è previsto per il 2022 dal “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”. I tempi stringono e il Governo vuol correre e per questo vuole usare la strada del dl, già calendarizzato in consiglio dei ministri per il 21 aprile. Parti sociali su tutte le furie. Ecco cosa cambia per i docenti

13/04/2022
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Il Fatto Quotidiano

Alex Corlazzoli

Chi vuol diventare professore, oltre alla laurea nella disciplina che insegnerà, dovrà avere sessanta crediti in psicopedagogia e fare un tirocinio a scuola con tanto di prova finale per poi poter finalmente accedere ad un concorso. Per i precari con 36 mesi, invece, la strada resta ardua: crediti, anno di prova e di nuovo concorso. E’ questo il nuovo piano per il reclutamento, presentato oggi dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Una “prima” che ha raccolto da subito i fischi dei sindacati. Stavolta a creare lo scontro è proprio il metodo con il quale si sta portando avanti la riforma. Il provvedimento è previsto per il 2022 dal “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”. I tempi stringono e il Governo vuol correre. C’è così tanta fretta che l’idea del professore ferrarese e del premier Mario Draghi è quella di usare la strada del Decreto Legge, già calendarizzato in consiglio dei ministri per il 21 aprile. Oggi alle 12,30 le novità sono state presentata ai capigruppo di maggioranza e alle 16,30 ai sindacati che, senza alcun pezzo di carta in mano, hanno visionato la riforma solo attraverso delle slide. Un atteggiamento che ha mandato su tutte le furia Francesco Sinopoli, segretario della Flc Cgil che a ilfattoquotidiano.it ha spiegato (a riunione ancora in corso): “Se c’è una bozza avrei voluto vederla. Non si può affrontare un tema così importante come il reclutamento per decreto alla vigilia della fase contrattuale”. Non le ha mandate a dire nemmeno Rino Di Meglio, coordinatore nazionale di Gilda Scuola: “Il confronto con i sindacati non si può ridurre a un’illustrazione di slides, si tratta di una modalità poco rispettosa che rischia di esacerbare i rapporti”. Nel merito Bianchi ha ipotizzato tre strade per l’assunzione dei nuovi docenti per le scuole secondarie di primo e secondo grado. Chi vuol diventare professore dovrà avere una laurea e aver conseguito trenta crediti su materie antro-psico pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche, di cui quindici di tirocinio, già all’università. Successivamente potrà partecipare al concorso e completare altri trenta crediti durante il primo anno di insegnamento che sarà di prova con contratto a tempo determinato. Altro caso quello delle lauree semi abilitanti: triennale e magistrale, oppure a ciclo unico, con l’aggiunta di sessanta crediti formativi su discipline psicopedagogiche nell’ultimo biennio. Infine la situazione dei precari con 36 mesi di docenza alle spalle. C’è poi il tema della carriera dei docenti. Oggi si è parlato di “progressione stipendiale accelerata” parallela agli scatti di anzianità. Gli insegnanti frequentanti con profitto le prove valutative intermedie, i percorsi di formazione e aggiornamento permanente selezionati e certificati dalla Scuola di alta formazione, avranno più soldi nella busta paga. Nulla che è piaciuto ai sindacati. Sinopoli furente: “In questi giorni 900mila persone del mondo della scuola ci hanno votati nelle Rsu per sederci ad un tavolo a vedere dello slide? Una questione gigantesca come il reclutamento e la carriera viene fatta approvare per Decreto? Ma chi sono questi? Chi li ha votati? Ci è stato detto che è la Commissione Europea a esigere questa riforma ma con il rinnovo del contratto alle porte si può intervenire così sui meccanismi di carriera?”. Una posizione condivisa da Di Meglio: “I temi del reclutamento e della formazione iniziale e quelli della carriera e degli incentivi vanno affrontati separatamente, perché questi ultimi due attengono alla sfera contrattuale. Quanto al merito delle questioni, i principi alla base della riforma del reclutamento possono anche essere condivisibili, e noi siamo a primi a sostenere che per la scuola secondaria va previsto un percorso di abilitazione come quello della primaria. Non siamo d’accordo, però, sulla parte transitoria, perché si delinea un iter troppo complesso rispetto alla situazione drammatica del precariato per la quale serve una procedura più snella”. Non ha buttato acqua sul fuoco nemmeno la neo segretaria della Cisl Scuola, Ivana Barbacci, Anzi: “Questa riforma è il ripristino della Legge 107 di Renzi”. La leader del sindacato, da sempre considerato più moderato, è guerrigliera: “L’incontro di oggi non è andato bene. Ci è stato presentato il provvedimento per sommi capi, con delle slide. Siamo di fronte all’ ennesima architettura che non sarà realizzabile nei tempi del ministro in una condizione di non risposta ai precari. Da sempre abbiamo chiesto un doppio canale: i concorsi ordinari servono ma è necessario un percorso per chi ha già 36 mesi con un percorso di abilitazione”. Ivana Barbacci non si è sottratta dal fare proposte: “Noi siamo del parere che il precario debba acquisire anche sessanta crediti, fare l’anno di prova ma non può di nuovo tornare ad arrestarsi con un concorso”. E poi c’è la questione della formazione legata alla premialità: “Questo tema va affrontato in una discussione contrattuale. Farlo per Decreto è la negazione dell’atto di indirizzo del ministro. Il patto per la scuola non diceva così ma parlava di un percorso negoziale. Adesso tocca alla politica. Chiederemo ai partiti di intervenire perché rischiamo di sprecare soldi del Pnrr. Se partiamo così con la prima riforma del Pnrr non facciamo molta strada”. Uno scontro senza speranza visto che tra sindacati e ministro non c’è alcun altro appuntamento in agenda. Giovedì prossimo la riforma potrebbe arrivare a palazzo Chigi. Poi il provvedimento sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale e inviato al Parlamento dove sarà analizzato dalle Commissioni parlamentari prima del suo approdo in Aula. Non si sa ancora se sarà prima il Senato o la Camera ad analizzare il provvedimento. Quello che è certo è che il decreto dovrà essere convertito in legge entro 60 giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.