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Reclutare i migliori

La scuola dopo la pandemia

24/04/2021
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la Repubblica

di Andrea Gavosto

P er molti anni la scuola italiana sarà chiamata a sforzi straordinari. Non è retorica; è la realistica osservazione di ciò che c’è da fare, sapendo che la pandemia ha soprattutto accentuato carenze già esistenti, in particolare a danno delle conoscenze e competenze degli studenti. È, perciò, positivo che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) riservi spazio e risorse ingenti (oltre 20 miliardi) all’istruzione, dai nidi all’università.

Il primo sforzo, da iniziare subito, è un intervento pluriennale per recuperare — insieme alla socialità — la perdita di apprendimenti. Oggi non ne conosciamo ancora l’entità, ne sapremo qualcosa di più solo dopo le prove Invalsi, che il Pnrr vuole giustamente obbligatorie.

Tuttavia, alla luce di quanto visto in altri Paesi, il timore è che tutti gli studenti e non solo i più fragili abbiano patito un consistente arretramento, che potrà lasciare cicatrici sul resto del percorso scolastico.

Questo impegno va a sommarsi alle azioni per ridurre la “povertà educativa”, che — a differenza della dispersione scolastica — non si limita a guardare ai titoli conseguiti, ma si interroga su che cosa lo studente abbia appreso e sappia fare. Un dato meglio di altri ne racconta la gravità in Italia: più di un terzo degli studenti che superano la maturità non raggiunge una soglia minima di competenze che garantisca il loro futuro; nel Sud si va oltre il 50%. Se questi sono i due primi impegni che dobbiamo agli studenti, serviranno un profondo rinnovamento della didattica e i migliori docenti, forse i migliori che l’Italia abbia mai avuto.

Da questo punto di vista, la settimana ci porta una cattiva e una buona notizia. La cattiva è che il Pnrr del governo Draghi sembrerebbe avere tolto, rispetto a quello di gennaio del governo Conte, quasi 2,5 miliardi alle risorse per l’edilizia scolastica. La qualità degli spazi di apprendimento — dove si fa scuola — è decisiva per migliorare la didattica — come si fa scuola — e dunque i risultati dei ragazzi. Con edifici scolastici in Italia così vecchi e poco adatti, ci vorrebbero più risorse, almeno per partire dalle criticità maggiori.

La notizia buona è che il ministro Bianchi, parlando della strategia del governo sulla qualità dell’insegnamento e del tema spinoso del precariato, ha detto che non farà sanatorie, come invece chiesto da sindacati, Lega e una parte del Pd. In effetti, credo sarebbe miope ipotecare un futuro già di per sé così impegnativo dando oggi il ruolo a docenti che non hanno mai vinto un concorso, spesso non sono abilitati, senza una seria verifica della loro preparazione professionale. Una nuova ingente stabilizzazione di precari, inoltre, limiterebbe per molti anni l’accesso ai futuri neolaureati. Bianchi ha aggiunto di volere rinnovare reclutamento e formazione dei docenti, puntando soprattutto sulla qualità della formazione didattica. È un impegno che va nella direzione di costruire la qualità d’insegnamento necessaria allo straordinario sforzo dei prossimi anni.

Le dichiarazioni del ministro allontanano però un obiettivo del governo Draghi: avere a settembre tutti i docenti in cattedra già dal primo giorno di scuola. Esclusa giustamente la sanatoria, non lo si potrà infatti conseguire, a meno di una miracolosa accelerazione nell’assegnazione delle cattedre, da sempre però frenata dalla giungla normativa e dal cronico fenomeno delle migliaia di ricorsi.

Anche quest’anno, perciò, l’avvio della scuola sarà difficile, con molte cattedre scoperte per settimane: un prezzo alto da pagare per le famiglie, soprattutto quando si vorrebbe accelerare il recupero dalla pandemia. È, però, un male accettabile, se l’alternativa è di rinunciare in futuro ad assumere i migliori docenti.