Recovery plan, tutto da rifare
Le dimissioni del premier fanno slittare il vertice con sindacati e associazioni sul Pnrr
Alessandra Ricciardi
L'unica certezza è che questa mattina alle 9 ci sarà il consiglio dei ministri per le comunicazioni del premier. Probabili le dimissioni e poi la salita al Colle di Giuseppe Conte per l'avvio formale della crisi. A pochi giorni dalla fiducia al Senato, quella maggioranza di 156 sì che aveva fatto sperare di essere autosufficienti, è bastata la calendarizzazione del voto sulla giustizia a far capire che l'autosufficienza non c'è. E così ora gli scenari possibili, salvo il ritorno alle elezioni, sono quelli di un governo Conte ter, l'ambizione di Pd e M5s, o un governo tecnico, con una base di consenso allargata che ricomprenda non solo Italia Viva ma anche i cosiddetti responsabili. In attesa di capire come proseguirà la crisi, è stato sconvocato il previsto vertice tra la ministra Lucia Azzolina e le 16 sigle, tra sindacati e associazioni, previsto per oggi per fare il punto sui fondi e i progetti del Recovery plan: 28, 5 miliardi tra istruzione e ricerca.
I sindacati avevano affilato le armi per frenare quello che a molti era parso il ritorno a un sistema «falsamente meritocratico», dicono alcune sigle, e che per molti versi richiamava la legge 107, la cosiddetta buona scuola di Matteo Renzi, un richiamo che risultava urticante per molta parte della scuola e soprattutto per i sindacati. Non è piaciuto il riecheggiare della carriera, che come un filo rosso lega il Piano nazionale di ripresa e resilienza, le Linee guida sulle priorità del 2021 e infine il contratto, letto come l'intenzione non di migliorare gli stipendi di tutti i docenti, in media più bassi di quelli dei colleghi europei, ma solo dei docenti più dinamici e capaci.
Se sulle misure per l'edilizia, la digitalizzazione e gli investimenti al Sud era prevedibile un consenso generale, richieste erano pronte ad essere formalizzate per rafforzare gli organici, stabilizzare i precari, premiare i docenti impegnati nelle aree a rischio e di maggiore disagio così da rendere attrattivo nel tempo l'incarico. E ancora, un investimento di lunga durata anche per tenere basso il numero degli alunni per classe, non oltre i 20 alunni, che passa necessariamente ancora una volta attraverso il rafforzamento del personale oltre che la messa a norma delle strutture. Ora la partita «slitta», per utilizzare il verbo dei rumors di viale Trastevere, ad altra data.
La Azzolina è tra i ministri che nel caso di un nuovo governo Conte potrebbero dover dire addio all'incarico: a lei vengono addebitati gli errori nella pianificazione della ripresa delle lezioni dopo la prima ondata, errori in realtà quantomeno condivisi con altri ministri. Ma a pesare sono soprattutto i dissidi interni, da ultimi con il Pd che spingeva per la prosecuzione in Dad contro la ripresa in presenza, e con Italia viva, contraria a una maturità con la sola prova orale.
Ora che la crisi sta per essere formalmente aperta, le carte si rimescolano. E lo stesso Recovery plan potrebbe essere riscritto per dare spazio alle istanze dei nuovi -e vecchi- soci di maggioranza.