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Regole condivise per la didattica dei precari

possono/debbono i borsisti, gli assegnisti e i ricercatori a tempo determinato dedicarsi ad attività di didattica integrativa e non?

06/03/2011
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il manifesto

Giancarlo Ruocco*
Nell'articolo a firma di Roberto Ciccarelli pubblicato il 23 febbraio con il titolo Docenti in pensione e lavoro gratis per i ricercatori precari, prendendo spunto dalla discussione in atto presso il dipartimento di Fisica della Sapienza in merito all'organizzazione della didattica, vengono sollevati rilevanti problemi che meritano un approfondimento. Due diversi elementi, intervenuti negli ultimi anni, spingono i dipartimenti, le facoltà e interi atenei a ripensare il modo di organizzare le lauree triennali e magistrali, il dottorato, i master. Il primo elemento è la pluriennale e bipartisan riduzione del finanziamento all'università e alla ricerca, accompagnata da una più generalizzata campagna di denigrazione della Cultura nella sua più ampia accezione. Ciò ha comportato il blocco del turn over e l'assenza delle risorse per nuove assunzioni e ha prodotto una continua riduzione dei docenti disponibili, capziosamente giustificata dall'argomento «ci sono troppi docenti nelle università italiane». In realtà il rapporto studenti/docenti in Italia è pari a circa 24, rispetto a una media Ue di circa 16. Per fare un esempio, i docenti in servizio presso il dipartimento di Fisica della Sapienza erano circa 150 solo 5 anni fa e sono circa 120 oggi. A fronte di questi dati fortemente negativi, vi è un secondo elemento - questa volta a valenza positiva: il peso via via crescente della «valutazione» nei processi decisionali accademici a tutti i livelli. Questo concetto, uno degli aspetti positivi - almeno nell'enunciazione dei principi - della legge «Gelmini», sta pervadendo l'ambiente accademico, sebbene resistenze si trovino ancora in alcuni ambiti disciplinari. Il nuovo statuto della Sapienza, entrato in vigore nel settembre dello scorso anno, anticipando la riforma, pone in primo piano la valutazione dei dipartimenti per quanto riguarda la loro attività di ricerca e - qui sta la novità sostanziale - della didattica. I dipartimenti si trovano di fronte quindi al difficile compito di organizzare la didattica per fornire insegnamenti ai propri corsi di laurea, ma anche a tutti i corsi di laurea in cui quella disciplina è insegnata; è il caso in particolare della materie di base come la Fisica. È sulla capacità di rispondere a questa «richiesta» di didattica, sia in termini di quantità che di qualità, che il dipartimento verrà valutato. Dall'esito della valutazione dipenderanno in parte le risorse destinate al dipartimento e la possibilità quindi di introdurre giovani leve, in un circuito virtuoso. La necessità di fornire didattica di qualità a tutto l'ateneo, con un numero di docenti in costante calo, pone seri problemi ai dipartimenti. Nel settore della Fisica, i corsi di studio della Sapienza prevedono per quest'anno accademico la copertura di circa 1600 crediti formativi (un insegnamento «vale» da 6 a 12 crediti) da parte di docenti fisici, a fronte di una disponibilità totale -determinata sulla base di un carico didattico individuale in linea con le richieste ministeriali - di circa 1400 crediti. L'esigenza di fare fronte a questa situazione solleva questioni che hanno una forte caratterizzazione politica, ineludibilmente intrecciata con il ruolo del «precariato»: possono/debbono i borsisti, gli assegnisti e i ricercatori a tempo determinato dedicarsi ad attività di didattica integrativa e non? Interrogativo ancora più difficile se si tiene conto della cronica problematica (riesplosa nell'autunno del 2010 con le proteste anti-Gelmini) della disponibilità dei ricercatori universitari a tenere insegnamenti. È quindi fondamentale darsi delle regole di comportamento condivise per garantire un'equa distribuzione dei carichi didattici tra i professori (associati e ordinari) ancora oggi squilibrata, sulla base delle ormai inesistenti «cattedre», ripartendo tra tutti sia i corsi appetibili nelle materie specialistiche sia quelli meno appetibili nelle materie della triennale, in corsi di laurea diversi da quelli del dipartimento di provenienza. Le regole servono soprattutto per garantire limiti ben precisi per la didattica erogata su base facoltativa, per esempio, dagli assegnisti: stabilire dei tetti in termini orari o di crediti a tutela del giovane precario dai potenziali rischi di pressioni psicologiche da parte della struttura. In merito alle figure precarie è bene sottolineare che il loro contributo alla didattica è e deve rimanere volontario, ma è innegabile che all'interno di una comunità universitaria l'incontro con gli studenti rappresenti parte essenziale della «formazione» del futuro docente e quindi un'esperienza da non sottovalutare.
* Direttore del dipartimento di Fisica, Sapienza Università di Roma