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Repubblica-Anche la Storia è diversa nella classe di Marc e Hu

RACCONTO Milano, alla Russo-Pimentel 200 allievi su 600 sono stranieri. La didattica si adegua Anche la Storia è diversa nella classe di Marc e Hu i programmi Qui non ab...

10/09/2004
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la Repubblica

RACCONTO
Milano, alla Russo-Pimentel 200 allievi su 600 sono stranieri. La didattica si adegua
Anche la Storia è diversa nella classe di Marc e Hu
i programmi Qui non abbiamo aspettato la Moratti per insegnare informatica e inglese Ma dopo i tagli abbiamo perso tutti i mediatori culturali
la lingua La prima parola che i piccoli imparano è "bagno". Ma la lingua è solo uno dei problemi che non sono uguali per tutte le etnie
STEFANO ROSSI


MILANO - Gabriele fa roteare gli occhi, Marc lo guarda stupito: quel trucco, lui, non lo ha ancora imparato, così caccia fuori una tradizionale linguaccia. Gabriele è italiano, Marc tedesco, qualche fila dietro di loro Andrei, rumeno, li fissa serio. Una seconda elementare di una scuola milanese, periferia di tradizioni borghesi da 15 anni ampiamente meticciata da varie ondate migratorie. In un quartiere fitto di kebab bar, pub sudamericani, alimentari cinesi, la scuola Vincenzo Russo-Eleonora Pimentel non può che essere così: 600 scolari di cui quasi 200 extracomunitari e, nella classe di Gabriele, Marc e Andrei, 11 stranieri su 25 bambini. Tre peruviani, tre filippini, due tedeschi, una cinese, una ecuadoregna, un romeno.
La maestra, Gilda Antenucci, insegna qui da 24 anni: "Ci mettiamo tanta buona volontà. Purtroppo ci sono sempre meno risorse e tocca arrampicarsi sui vetri". Quest'anno, ad esempio, sono scomparsi i mediatori culturali. Erano cinque, poi due, ora nessuno. La maestra Antenucci ha telefonato a un'amica, professoressa delle medie in pensione, che si presterà a qualche ora di volontariato. Tuttavia non bisogna pensare a una scuola rattoppata e depressa. Non la Russo-Pimentel, intitolata a un diplomatico e a una rivoluzionaria napoletani del ?700.
"Qui - spiega il maestro Davide Gambero - non abbiamo aspettato la Moratti per insegnare inglese e informatica, per offrire attività extracurricolari". Merito di alcuni direttori illuminati. È per questo che Simone disegna due ragazzini in un incontro di judo. Il tema assegnato era: "Qual è la vostra attività scolastica preferita?". Per Simone sono le lezioni di judo, uno dei corsi complementari tenuti a partire dalle 16.30, quando finisce l'orario del tempo pieno.
In questo ambiente ricco di stimoli, l'inserimento è più agevole. Di bambini che non parlano una parola della nostra lingua ne arrivano sempre tanti. La legge consente di assegnarli a una classe un anno più indietro della loro età. I sudamericani si arrangiano, data la somiglianza con l'italiano, cinesi e i maghrebini fanno scena muta. "Socializzano con il gioco, imitano gli altri", spiegano i maestri. L'apprendimento della lingua inizia con alcune parole chiave. La prima è "bagno". Le altre le spiegherà magari un compagno più grande, abitudine che non tutti i genitori stranieri gradiscono. I cinesi, in particolare, sembrano preferire la competizione alla solidarietà.
Naturalmente, cambia la didattica. Le parti del corpo si insegnano in italiano, arabo, cinese, spagnolo. La storia e la geografia escono dai confini europei e si aprono al mondo. I bambini raccontano come si vive, cosa si mangia nei loro Paesi (e in mensa il menu tiene conto dei precetti religiosi di ciascuno). Via e-mail è stato fatto un gemellaggio con una scuola in Kenia, con scambio di foto, messaggi e disegni. Finché dall'Africa è arrivato un griot, un cantastorie, a raccontare le favole della terra di quei bambini lontani.
I nuovi scolari sono pieni di sorprese. Sbalordiscono la sicurezza e velocità con cui i piccoli Hu, Wong, Fang risolvono le quattro operazioni: "In Cina il metodo matematico è basato sul calcolo. Se però si passa alla logica e alla statistica, i bambini hanno difficoltà". Le supereranno, come i filippini, i peruviani. La sfida dell'emigrazione dà delle motivazioni che i piccoli italiani non conoscono.
Anzi, no, ci sarebbero dei piccoli italiani per i quali la vita è una sfida continua. Sono i rom dei campi nomadi e delle case popolari dei dintorni, ormai stanziali e al 90 per cento italofoni. L'elementare di via Russo fa il possibile per non farli sentire cittadini di serie B: "Gli assicuriamo la doccia, il cambio di biancheria, li accompagniamo alle vaccinazioni", racconta Davide Gambero. Raramente le famiglie rom lasciano cadere nel nulla queste sollecitazioni. E quando Samantha che ora è in terza elementare, è diventata amica di una coetanea milanese, è stata una vittoria per tutti. Perché non è facile per una famiglia italiana aprire la porta di casa agli zingari, ma nemmeno per le famiglie rom far frequentare ai figli persone estranee alla comunità lo è.