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Repubblica-Atenei, l'anno del numero chiuso "Così nasce il diritto al successo"

BOOM LE MATRICOLE Atenei, l'anno del numero chiuso "Così nasce il diritto al successo" Con il 3+2 sono sempre di più i corsi con accesso limitato Aumentano i candidat...

09/10/2004
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la Repubblica

BOOM
LE MATRICOLE
Atenei, l'anno del numero chiuso "Così nasce il diritto al successo"
Con il 3+2 sono sempre di più i corsi con accesso limitato
Aumentano i candidati e non sempre c'è posto per tutti
In un ateneo di medie dimensioni, come Padova, l'accesso è programmato per 21 lauree triennali A Roma 3 un test per tutti i 28 corsi
Le selezioni cambiano da una facoltà all'altra: a Verona per Economia hanno scelto i candidati con i migliori voti della maturità
SIMONE CERIOTTI


ROMA - Inizia l'anno accademico, ma per migliaia di studenti questo è già un punto di arrivo. "Accesso regolato" e "numero programmato", sono le espressioni più ricorrenti per dire che in molte facoltà italiane l'iscrizione è a numero chiuso e dipende dall'esito di una prova di ammissione. Tra settembre e ottobre, i test si susseguono in decine di corsi di laurea: generalmente si tratta di questionari che partono da domande di cultura generale e logica, per approdare, nella seconda parte, alle discipline specifiche. Quesiti come "Che cos'è il settore terziario", "Chi è il garante della privacy", possono essere solo un antipasto al primo principio della termodinamica, a un sistema matematico o alla grammatica inglese. Così il test diventa il primo, grande scoglio della carriera universitaria e la sua preparazione viene affrontata in modo sempre più serio dalle aspiranti matricole. Tanto che qualcuno azzarda uno slogan: non più diritto allo studio, ma diritto al successo. "I nostri libri - spiega Alberto Sironi, direttore di un'azienda che pubblica eserciziari specifici - vengono acquistati già nei mesi primaverili, ciò significa che i ragazzi, prima della conclusione delle superiori, pensano già all'impegno che li aspetta in autunno".
Complice la riforma del "3+2", che ha suddiviso il percorso accademico in lauree di primo e secondo livello, negli ultimi anni accademici il numero di corsi ad accesso regolato si è moltiplicato. La legge lo prevede per quelli di nuova attivazione, ad alta specializzazione e per le facoltà sanitarie, di Architettura e Scienze della formazione primaria: i 72 atenei italiani, però, applicano il criterio anche in molti altri casi. Ad esempio, Roma 3 oggi ha tutti i suoi 28 corsi triennali a numero programmato. Tre anni fa erano soltanto due. Un altro ateneo di medie dimensioni, come Padova, regola di sua iniziativa l'accesso a 21 lauree di primo livello. All'università di Milano spiegano che "quella del numero programmato è una pratica spesso inevitabile. Il nostro corso di Scienze umanistiche per la comunicazione ha avuto quest'anno 1.274 iscritti, a fronte di 250 posti. Bisogna selezionare".
Una giustificazione, questa, considerata inaccettabile dal segretario nazionale della Cgil scuola e università, Enrico Panini: "Siamo contrari al numero chiuso. Servirebbero piuttosto politiche di orientamento durante la scuola secondaria e, nel caso di facoltà particolarmente "richieste", un ampliamento delle strutture". Su questo tema non mancano poi le controversie: "Abbiamo sempre lottato - afferma Daniele Giordano, vice coordinatore dell'Unione degli universitari - per ribadire il diritto costituzionale al libero accesso alla formazione che purtroppo viene eluso in molti modi". La pensa diversamente il pro rettore dell'università di Padova, Giuseppe Zaccaria: "La legge promulgata nel 1999 consente la programmazione. Non pone obblighi, ma permette agli atenei di sfruttare l'opportunità di garantire le giuste risorse ai nostri studenti".
Le norme lasciano una porta aperta e i senati accademici si regolano di conseguenza, decidendo anche di fare selezione senza passare per i test. È il caso del corso in Economia e commercio dell'università di Verona, che è diventato ad accesso programmato dopo 40 anni: "Ci siamo limitati - spiega il preside Nicola Sartor - a immatricolare gli studenti con i migliori voti di maturità, pur consapevoli di non applicare un criterio equo. I test? Non dovrebbero valutare conoscenze specifiche, il vero problema dei ragazzi sta nella capacità di scrittura. Sarebbe questo l'aspetto da mettere alla prova".