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Repubblica-Autopsia di un sistema educativo

Intervista/lo spaccato Secondo il recente sondaggio Demos Eurisko pubblicato da "Repubblica" la società non disdegna affatto l'istruzione pubblica Un racconto sulla scuola ...

17/03/2004
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la Repubblica

Intervista/lo spaccato
Secondo il recente sondaggio Demos Eurisko pubblicato da "Repubblica" la società non disdegna affatto l'istruzione pubblica

Un racconto sulla scuola dal sapore provocatorio, forse un po' nostalgico. L'ha scritto Paola Mastrocola, autrice di apprezzati romanzi quali Gallina volante e Palline di pane, oggi di nuovo in libreria con Una barca nel bosco, autopsia d'un sistema educativo che spegne, scoraggia, disinforma o "sforma" (Guanda, pagg. 260, euro 14,50). Un affresco impietoso e desolante, che sfida anche sondaggi recenti (Demos Eurisko domenica scorsa su Repubblica), dai quali si ricava che, pur tra mille difetti, la scuola italiana rimane nella coscienza collettiva un servizio pubblico tra i più considerati. "Non abbiamo perso credibilità presso gli studenti: da qui bisogna ricominciare", commenta la scrittrice, che da vent'anni insegna nei licei di Torino.
Con humour e malinconia Paola Mastrocola racconta la vicenda di Gaspare Torrente, studente sensibile e naturalmente colto, aspirante latinista e lettore raffinato di Verlaine, che da un'indefinita isola del Mezzogiorno - ma in realtà l'isola è egli stesso - approda in uno storico liceo torinese, carico di attese e buoni propositi: tutti inesorabilmente delusi. Quella che accoglie Gaspare - papà pescatore e mamma cuoca, unico patrimonio il proprio talento - è la scuola "agile e flessibile" della contemporaneità, dove anche il latino è "agile e flessibile", ossia "moderno, divertente" - declama il professor De Gente Ruggero - le versioni rimandate nel tempo per non creare frustrazione, le grammatiche "decrepite e stantie" sostituite da schede più frizzanti, il voto no, non si dà il voto, perché potrebbe discriminare, e c'è anche l'Ora di Ascolto, l'insegnante psicologa Annamaria Lo Gatto che maternamente spinge l'allievo verso la play station, perché fa tanto "socializzazione".
Gaspare è spaesato, "avulso" dice lui, un po' come la Caterina che va in città nel film di Virzì. Una "barca nel bosco", insiste la zia Elsa alludendo al suo essere naturalmente fuori posto. Estraneo anche alle leggi del branco: un paio di scarpe o una cinta più rilevanti d'un verso d'Orazio. "Tutti livellati nello stesso terreno intriso d'acqua da far paura: tutti belli marci", sintetizzerà il protagonista quasi alla fine della storia, ormai ipnotizzato dal suo hobby per la botanica. "Sono stato in tutti questi anni di liceo una pianta a cui dovevano drenare il terreno. Possibile che non si siano accorti che ingiallivo? Ingiallivo e mi marcivano le radici". È un percorso di "sformazione", quello narrato da Gaspare, sempre più fuori moda e fuori luogo, con le scarpe e la felpa sbagliate, infine smarrito in quel teatrino fumoso che è l'Università. Con un epilogo malinconico: da Rutilio Namaziano, a cui brillantemente dedica la tesi di laurea, il figlio del pescatore approderà al bancone d'un bar, perché il prestigioso incarico nello studio legale gli viene soffiato da Cartonzi Federico, sì il figlio dell'avvocato, quel compagno freddo e gentile che a casa gli faceva calzare le pattine per non rigare il parquet, "la sua era una famiglia felpata".
Una barca nel bosco è un romanzo ben scritto, a tratti divertente, capace di rendere espressivamente ambienti e personaggi. Paola Mastrocola mostra un mestiere sicuro nell'evocare interni domestici diversamente connotati, i tinelli barocco-piemontesi della microborghesia torinese come le lussuose ville in collina provviste di piscina ' fuoristrada. Il libro si esaurirebbe qui, se non fosse che il racconto è anche il frutto dell'esperienza sul campo dell'autrice, professoressa torinese di 48 anni. "Forse sì, c'è stato qualche Gaspare tra i miei allievi o almeno m'è parso di intravederne qualcuno, in un certo fare spaesato, in certi occhi malinconicamente seri, in una certa bravura che andava nascosta davanti ai compagni. A quegli allievi, in genere, mi affeziono in modo particolare: vorrei aiutarli, dire che sono dalla loro parte, che in qualche modo assomigliano a me".
Un romanzo dall'impronta autobiografica? "Ovviamente sì, anche se non sono un maschio, mio padre non era un pescatore, ma un impiegato della Fiat che proveniva da uno sperduto paesino dell'Abruzzo, mia madre non cucinava polpette ma faceva la sarta, mai avuto una zia Elsa, e neanche mai amato particolarmente il latino. Però Gaspare sono un po' io, sì. Sono miei i suoi pensieri. Il suo sentirsi sempre e dovunque fuori posto. Anche il suo cercare d'essere, vanamente, uguale agli altri: anche questo è mio".
Il talento di Gaspare viene fagocitato da un sistema scolastico che mortifica la qualità, disconosce il merito, livella le impennate di genio, con l'effetto di far trionfare le antiche distinzioni di ceto e di censo. Ma è davvero questa l'esperienza della professoressa Mastrocola? "Sì, e purtroppo la mia testimonianza non è isolata. Oggi c'è una crescente consapevolezza tra i docenti che lo sfascio ha raggiunto livelli d'indecenza, travolgendo anche l'Università. Soprattutto mi fanno pena i ragazzi che arrivano a scuola pieni di entusiasmo, credendo di imparare grandi cose. Ho conosciuto studenti che amavano scrivere pensieri e racconti; poi a scuola hanno dovuto imparare a rispondere alle domandine dei test. Oppure ragazzi che divoravano i romanzi, costretti a riempire griglie o a dividere una novella di Pirandello in sequenze. Crede che abbiano conservato il gusto per la lettura? I giovani hanno bisogno di grandi modelli, di biografie straordinarie, di forti ideali. Ma noi stiamo lì a spegnerli con le distinzioni inutili della pseudonarratologia".
La scuola che ritrae la Mastrocola è "una fotocopia della società, le si adegua in modo scandaloso, non resiste, non oppone nulla di diverso, ha rinunciato al suo specifico, a cose solide e non flessibili, come lo Studio, la Fatica, la Profondità". Ma è davvero colpa dei professori, figura che al di là dei luoghi comuni gode ancora di prestigio sociale? Non sono piuttosto i ragazzi ad esigere ritmo e flessibilità, molto spesso distanti dall'ingegnoso Gaspare, e generalmente sostenuti da genitori che richiedono agli insegnanti prestazioni frizzanti, "televisive", più adatte ai ritmi vorticosi dei vispi figlioli? "È vero, io ho scelto un punto di vista estremo. Quelli come Gaspare sono pochi, sono sempre stati pochi. Ma tutti gli altri sono migliori di come li vediamo noi. Una diffusa forma di compiacenza contagia genitori ed educatori, alla ricerca del consenso a tutti i costi, ben oltre quel che poi vogliono davvero i ragazzi. Da qui una perenne scuola materna con giochini, schemini, filmetti, scenette. Li trattiamo da stupidi, con un inganno sostanziale: perché poi questo nostro divertirli a tutti i costi avrà un prezzo altissimo, ossia un'ignoranza abissale".
Il rischio, tuttavia, è di voltarsi indietro verso un sistema formativo ormai datato: un impulso nostalgico? "Nessuno vuole tornare alla vecchia scuola. Ma io provo un lontano dolore per la chiarezza adamantina di quel che era la scuola. Allora tutti sapevano perfettamente cosa dovevano fare. Gli insegnanti sapevano cosa insegnare. I genitori sapevano perché mandavano i figli a scuola. E i figli sapevano perché studiavano. Adesso questo patto tra scuola e società è andato per aria". Gli insegnanti persi in mille attività laterali, "non sappiamo più cosa è essenziale e cosa non lo è".
Occorre definire un nuovo senso comune, insiste Mastrocola, "fondamentale e soprattutto condiviso, una sorta di Koiné anche minima, tra Necessario e Imprenscindibile". Un appiglio a cui aggrapparsi in questo mare così fluttuante "dove, in nome dell'autonomia, ognuno può fare quel che vuole. Così che nessuno sa più cosa fare". Ma ci sarà pure una ragione per cui i professori - nonostante gli acciacchi del sistema - continuano a godere di gran considerazione da parte della collettività. "A dispetto del mondo esterno, e della frenetica attività dei ministri riformatori, gli insegnanti continuano a trovare risorse in un inesauribile serbatoio interiore. Basta chiudere la porta dell'aula, lasciando fuori le diatribe pubbliche: questa, in fondo, è la mia ricetta".


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