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Repubblica-Avevamo un sogno, ora siamo delusi i nostri figli sono egiziani e italiani

INTERVISTA La famiglia di un panettiere islamico sperava nelle "classi col chador" come segno di integrazione "Avevamo un sogno, ora siamo delusi i nostri figli sono egiziani e italiani" costi...

18/07/2004
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la Repubblica

INTERVISTA
La famiglia di un panettiere islamico sperava nelle "classi col chador" come segno di integrazione
"Avevamo un sogno, ora siamo delusi i nostri figli sono egiziani e italiani"

costi alti Un'insegnante araba costa anche 500 euro al mese, chi se la può permettere?
culture Non vogliamo che perdano la loro lingua e la loro cultura
PAOLO BERIZZI

MILANO - A casa Abdelazim, egiziani di Alessandria, da 22 anni a Milano, si comunica così: i figli tra loro parlano in italiano; con i genitori in arabo. "Loro sono nati qui, e qui si sono integrati, ma non vogliamo che perdano la lingua, la cultura, le abitudini del nostro popolo", dice papà Abdau, 48 anni, baffi brizzolati e zuccotto traforato sul capo.
Abdau, insieme alla moglie Nazima, bel sorriso sotto il velo bianco calato sull'abaia, la tunica egiziana, è dietro il banco del panificio Mediterraneo, via Ravenna, a due passi dalla moschea e dalla scuola islamica di via Quaranta. Clientela e prodotti misti: michetta e pane siriano, arabo, egiziano. In negozio, quando non sono in classe, danno una mano anche i due figli più grandi: Amed, 14 anni, terza media, e Islam, 11 anni, prima media. Poi c'è la piccola Ranim, 4 anni, asilo - italiano - in via Barabino. La carriera scolastica di Amed e Islam è sdoppiata: da settembre a giugno scuola italiana. Da giugno a settembre scuola islamica. Privata. Cinquanta euro al mese. La rata la ritira l'Imam.
"Lì studiamo soprattutto il Corano, e preghiamo", dice Amed. I genitori volevano iscriverlo al liceo Agnesi, l'istituto dove era prevista la "classe con il chador" bocciata dal ministro Letizia Moratti. E invece niente. "Sì, siamo arrabbiati, e molto delusi" - si stringono nelle spalle Abdau e Nazima - Si parla tanto di integrazione, di crescita democratica, di confronto tra diverse culture. C'era finalmente un bel progetto, l'hanno lasciato cadere. Un'occasione persa. L'idea della scuola islamica privata parificata? Speriamo che almeno quella la facciano... "
Abdau Abdelazim, suo figlio non potrà iscriversi al liceo Agnesi.
"È un peccato. Una classe islamica in una scuola italiana sarebbe stato un bellissimo esempio, un modello culturale perfetto".
Perché?
"I miei di fatto sono italiani, parlano e scrivono in italiano. Ma è importante che studino anche l'arabo, che continuino a seguire la cultura islamica, che è una cultura di pace, di fratellanza. Islam vuol dire baci. Per questo dico che la classe islamica del liceo Agnesi era una cosa importante. Per non parlare di tutti i problemi che comporta mandare i ragazzi in due scuole diverse".
Parliamone.
"Abdel e Amed escono dalla scuola italiana alle quattro e mezza del pomeriggio. Poi, per fargli studiare l'arabo, chiamiamo un'insegnante musulmana che viene a casa".
Cosa studiano a casa?
"Tutte le materie: storia, geografia, matematica. Tutto in arabo. Ma, soprattutto, studiano religione. Il Corano. Quello che fanno anche nella scuola islamica di via Quaranta".
E tutto questo che problemi comporta?
"Un'insegnante araba può costare anche 500 euro al mese. E spesso una sola non basta: ognuna insegna una materia. Capisce cosa voglio dire? Mica tutti se lo possono permettere. A Milano ci sono centinaia di famiglie musulmane che rinunciano a tornare nei loro paesi a fare visita ai parenti perché con quei soldi fanno studiare i figli".
Lei ha un lavoro sicuro e tre figli: con i soldi che paga per l'insegnante a domicilio potrebbe pagare la rata di una scuola privata parificata. È la proposta che Abdel Hamid Shaari, guida dell'istituto culturale islamico di viale Jenner, ha fatto alle istituzioni per ricucire lo "strappo" del liceo Agnesi.
"Dicono che potrebbero mettere in regola la scuola di via Quaranta, quella frequentata dai miei figli. Magari, lo facessero... Dovrebbe essere regolarmente riconosciuta, con tanto di esami a fine anno. La legge lo consente, si potrebbe fare. E sarebbe meglio per tutti".
Spieghi meglio.
"Primo, per i ragazzi. Molti alunni di questa scuola, quest'anno, hanno già sostenuto esami in italiano. Questo significa che la loro istruzione e la loro integrazione, in un paese che li ha accolti, in una città come Milano dove io vivo da 20 anni lavorando onestamente, non può più essere ignorata dal Comune, dalla Provincia, dalla Regione. E poi se un ragazzo è costretto a frequentare sia la scuola italiana che quella araba, non ha più un po' di tempo libero. Quando si svaga?".
Chi altro poi, oltre ai ragazzi, potrebbe trarre vantaggio dall'istituzione di una scuola islamica parificata?
"Tutta la comunità musulmana, e i milanesi. Per dire: i miei figli sono più contenti quando vanno alla scuola italiana. Siamo noi che a casa insistiamo perché parlino anche l'arabo. Perché tengano in considerazione la loro cultura di origine. Le comunità si intrecciano, si confrontano, si arricchiscono a vicenda".
Nel forno di via Ravenna, periferia di una Milano che potrebbe diventare la città simbolo di una integrazione finora non sempre facile, Amed e Islam, 14 e 11 anni, aiutano papà a ordinare il pane sugli scaffali. La mamma si scosta il velo, prende in braccio la piccola Ranim. In perfetto italiano Amed dice a papà: "Stasera mangiamo la cotoletta?". E Abdou, in arabo: "Sì, ma poi si va a letto presto. Domattina c'è lezione di Corano".