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Repubblica: Bambini, ragazzi, adulti, la creatività che aiuta a crescere

Aumentano gli stimoli. Cambia e accelera il modo di imparare

27/04/2006
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la Repubblica

LOREDANA LIPPERINI

Test. Si prenda un bambino fra i dieci e i tredici anni e gli si sottoponga una delle molte versioni per l´infanzia degli antichi miti o dei grandi classici: poniamo l´Anello del Nibelungo, o Faust. È facile e verosimile che l´esemplare in questione risponda citando correttamente Odino e descrivendo in quale occasione il negromante di Goethe abbia evocato Mefistofele: e non a causa di sapienti letture scolastiche o casalinghe, ma perché quelle storie e quei personaggi gli sono noti da altre fonti (nel caso, due degli assai contestati cartoni animati giapponesi, rispettivamente I Cavalieri dello Zodiaco e Shaman King).
Questo è o dovrebbe essere il problema numero uno con cui fare i conti nel prendere in considerazione i "nuovi bambini": quanto sanno, da dove apprendono e, soprattutto, chi sono? Il mondo del marketing insegue da tempo la scivolosa fascia dei tweens, compresa fra gli otto e i tredici anni, in cui non si è più piccoli e non ancora adolescenti. È l´età, rilevava ancora il recente rapporto Liber sull´editoria per ragazzi, dove le amorose cure di genitori librofili e di curatori di collane rischiano di non trovare seguito: non a caso, uno dei segmenti più "sicuri" del settore resta quello dei libri per la primissima infanzia. E dopo? Non è vero, per cominciare, che i tweens non leggano e non apprendano: è che i famosi "bambini multimediali", di cui si discute da anni nei convegni, apprendono in modo diverso e da fonti diverse. E se si aggiungono ai libri i videogames, il cinema, i cartoni, si deduce che l´immaginario di un alunno di quinta elementare è iperstimolato da anni di magie elfiche, avventure storiche, viaggi galattici: e che dunque diventa difficile interessarlo. Per questo, i tweens sembrano fare la cosa più ovvia: accelerano i tempi. La temuta adultizzazione precoce significa anche che si passa alla visione di Mtv già a dieci anni, seguendo la doverosa trafila che dal pop sentimentale di Tiziano Ferro porta lentamente ai rapper per approdare al post punk dei Green Day. E che le ragazzine di dodici anni non leggono tanto le collane a loro dedicate, ma scelgono senza esitare le saghe amorose di Federico Moccia (o, se in versione bad girls, quelle dark di Chiara Palazzolo), apparentemente destinate alle sorelle maggiori.
Visto in termini di mercato, il problema sembra essere la mancanza di un prodotto mirato quanto ricercatissimo. In termini culturali la questione è più complessa, e anche più interessante. Perché spesso sono gli stessi ragazzini a trovare da soli quello che altri cercano per loro: scrivendoselo. Passo indietro: qualche anno fa, in un bel libro uscito per Laterza che si chiamava I bambini nella storia, la docente di pedagogia Egle Becchi spiegò che sino alla fine del secolo scorso l´infanzia non aveva mai avuto voce diretta. Lo storico aveva dunque poco materiale a disposizione: gli alfabeti tracciati sui muri dai bambini di Pompei, gli esercizi di tedesco di Marie Bonaparte, Cicerone copiato dalla tredicenne sorellina di Ludovico il Moro. Per il resto, parlavano gli adulti: spesso per imporre il silenzio ai piccoli, come raccomandava San Girolamo. Questa, invece, è la prima generazione di bambini di cui non soltanto si parla: ma che parla in prima persona, e scrive moltissimo. Grazie soprattutto a Internet, e a quelle parti della rete che vanno sotto il nome di blog e di fan fiction. Che i blog dei ragazzini siano mero esercizio diaristico, spesso farcito di sgrammaticature, è tutto da dimostrare: oltre a rendere immediata la creazione di piccole comunità di affini che attraverso la scrittura si scambiano idee su interessi comuni, il web può anche diventare cimento letterario. Pescando nel mare magnum, si trovano blog come www.bigfight.splinder.com, torneo immaginario a colpi di post (vince chi scrive meglio) ispirati a personaggi di cartoni animati e videogame, dove ragazzini delle medie si pongono a confronto con studenti universitari. E di questi giocosi esercizi, quasi sempre felicemente privi di aspirazioni alla pubblicazione, è pieno il web dei giovanissimi.
Per esempio, nel mondo delle fan fiction, che sono proprio i preadolescenti ad animare. Le fan fiction sono racconti scritti dagli ammiratori di una saga, di un film, un romanzo, un cartone, un videogioco, una serie televisiva, una rock band: il limite, davvero, non esiste, e l´elenco dei soggetti prescelti include Harry Potter e Shakespeare, E.R. e Il Signore delle mosche, Dragonball e la Bibbia. Partecipare è facilissimo: si visita uno dei siti dedicati all´argomento (oltre trecentomila risultati con una ricerca nella sola lingua italiana), si sceglie il soggetto e si invia la propria storia. Quindi si attendono i commenti degli altri navigatori, che in non pochi casi sono tutt´altro che lapidari, ma cercano a loro volta di esprimere un parere critico o addirittura tecnico. Perché il segreto delle fan fiction è quello di dare obiettivi passionali alla normativa della scrittura: chiunque può scrivere di quel che ama, ma senza rigettare completamente le regole (che sono date, in questo caso, dal basso). Sembra il migliore dei mondi (letterari) possibili: dove nessun giovanissimo scrittore si porrà mai su un piano più elevato rispetto a quello del suo lettore.
La sensazione, insomma, è che l´idea stessa di bambino sia diventata più sfuggente perché portatrice essa stessa di saperi più sfaccettati rispetto a quelli fin qui conosciuti. E per padri e madri dubbiosi valga la vecchia frase di Roberto Maragliano, lo studioso italiano che agli "esseri multimediali" dedicò un appassionato saggio: per secoli abbiamo pensato che gli adulti debbano soltanto tracciare la strada per i bambini, e quindi camminare davanti a loro. Ma sarebbe bello, e importante, che qualche volta arretrassero di un passo, e provassero a guardare com´è il mondo sbirciato da dietro le loro spalle. Magari per mettere a confronto due versioni diverse della storia di Faust.