Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » REPUBBLICA-Che cosa vedo nei miei ragazzi quando in classe parliamo di droga

REPUBBLICA-Che cosa vedo nei miei ragazzi quando in classe parliamo di droga

LA TESTIMONIANZA Che cosa vedo nei miei ragazzi quando in classe parliamo di droga Bisogna prenderne atto: in certe realtà girano più stupefacenti che merendine MARCO LODOLI (SEGUE DALLA P...

03/10/2003
Decrease text size Increase text size
la Repubblica

LA TESTIMONIANZA
Che cosa vedo nei miei ragazzi quando in classe parliamo di droga

Bisogna prenderne atto: in certe realtà girano più stupefacenti che merendine
MARCO LODOLI
(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)

Insomma, stavolta le forze dell'ordine hanno colpito con la clava un moscerino, mentre gli aerei continuano a scaricare sul nostro Paese tonnellate di cocaina e di eroina. L'episodio potrebbe concludersi con una risata amara, però forse a questo punto, approfittando dell'occasione, vale la pena di interrogarsi sul consumo di droghette e drogone che c'è tra gli adolescenti. Talvolta, quando mancano dieci minuti alla fine della lezione, faccio qualche domanda più personale ai miei studenti, per capire meglio come vivono, cosa fanno, che musica ascoltano, come gioiscono o soffrono. E spesso si finisce a parlare di stupefacenti.
Io insegno in una scuola dell'estrema periferia romana, completamente diversa dal Virgilio, liceo della buona borghesia, quindi non pretendo di fornire un campione assoluto. Però, quando ad esempio domando: "Secondo voi, qual è la percentuale dei ragazzi che si fanno le canne?" e la risposta è: "Tutti", rimango un po' stupito. Allora vado avanti, so che i ragazzi si fidano di me e che sono sinceri nelle loro risposte: "Quanti invece si impasticcano?" Risatine, gomitatine: "Almeno il sessanta per cento". Domanda successiva, col verbo in voga: "Quanti pippano cocaina?". Silenzio, un attimo di esitazione, appello veloce degli amici del muretto, risposta: "Un buon cinquanta per cento".
Le cose stanno così, le percentuali sono sempre queste, o addirittura tendono a salire. Poi c'è il foltissimo gruppo dei bevitori, qualche inalatore di strane schifezze, gli sporadici assaggiatori di chetamina e via così. Naturalmente, nelle periferie urbane, il grosso dei giovani consumatori ha da tempo abbandonato la scuola, a quattordici anni o anche prima. Sono ragazzi che vivacchiano tra una bisca e un lavoretto, lunghe giornate di apatia assoluta, furtarelli, saccheggi dei borsellini materni, televisione, calcio, tatuaggi, abbrutimento.
In questi ambienti neoprimitivi la droga è comunque l'occupazione principale. È chiaro che c'è una differenza enorme tra lo spinellino fumato dopocena, abitudine diffusa in tanti ambienti, e il passaggio devastante di sostanze micidiali. Comunque bisogna prendere atto della realtà: la droga tra i giovani circola più delle merendine.
La situazione è questa. Ora possono prendere la parola gli psicologi e i sacerdoti, i sociologi e i dottori per spiegarci come mai siamo arrivati a questo punto. La mia impressione è che i ragazzi vivano frustrazioni insopportabili e che cerchino in ogni modo di allentare quella sofferenza. Soprattutto quelli culturalmente e socialmente più deboli si ritrovano troppo presto a fare i conti con modelli fasulli di successo, bellezza, potenza. Hanno sedici anni e già si sentono dei falliti. Una felicità impossibile brilla oltre un vetro blindato. Per illudersi di partecipare alla Grande Festa possono comprarsi una maglietta firmata, un paio di scarpe pubblicizzate, ma è un'emozione che dura niente, un sogno che subito svanisce. Un tiro di coca dura un poco di più, ma la disperazione rischia di durare tutta la vita.