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Repubblica-Credo e fede sui banchi della multieuropa

Ecco come nel vecchio continente si afrontano i problemi dell'istruzione religiosa

24/03/2006
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la Repubblica

ECCO COME NEL VECCHIO CONTINENTE SI AFFRONTANO I PROBLEMI DELL´ISTRUZIONE RELIGIOSA
CREDO E FEDE SUI BANCHI DELLA MULTI-EUROPA

modelli Si va dall´estremo "confessionale" di Grecia, Irlanda e Portogallo a quello opposto della "laicissima" Francia
GIOVANNI FILORAMO

I processi immigratori pongono oggi in modo sempre più evidente di fronte a un problema di fondo: il diritto di praticare la propria religione non più come individuo, ma come appartenente a una comunità religiosa. Come testimoniano molte delle religioni degli immigrati che popolano le nostre città, si tratta di una realtà tipicamente premoderna, che è ritornata prepotentemente sulla scena come fattore culturale significativo delle società della tarda modernità. I conflitti che ne derivano discendono da una questione generale, legata alla funzione e al significato che assumono le religioni nel governo della società civile, nonché alla determinazione di una sfera non confessionale di valori e principi, la cui condivisione da parte di tutti i cittadini possa garantire una convivenza pacifica e costruttiva. E questo, a cominciare da quel fondamentale luogo di formazione del cittadino che è o dovrebbe essere la scuola pubblica. Sorge, dunque, spontaneo l´interrogativo: in che modo lo Stato laico è in grado oggi di rispettare il diritto culturale degli stranieri a integrarsi nel tessuto sociale e politico in cui si iscrivono, in virtù dell´attribuzione di un nuovo tipo di cittadinanza in grado di contemperare la loro libertà di religione con le esigenze politiche generali? È possibile immaginare percorsi educativi alternativi rispetto a quelli esistenti - incapaci per vari motivi di affrontare in modo adeguato questa sfida - in grado di rispondere efficacemente all´esigenza di costruire una cittadinanza veramente pluralistica? Una cittadinanza, che deve essere naturalmente radicata nella situazione locale, ma che, nel contempo, non può non avere una prospettiva europea.
Com´è noto, per quanto concerne l´insegnamento religioso, la situazione europea è molto complessa e, come per tanti altri campi, difficilmente riconducibile a valori condivisi. Al termine anche solo di un rapido viaggio attraverso i differenti modi secondo cui i paesi della Comunità europea affrontano oggi il problema, il panorama è tale da lasciare un´impressione di smarrimento e perplessità. La diversità delle storie nazionali e delle tradizioni locali, infatti, ha finito per creare una situazione estremamente varia, difficilmente riconducibile a qualche minimo comun denominatore. A seconda che vi sia Stato costituzionale, regime di separazione tra Stato e differenti religioni, esistenza di una o più religioni e/o chiese di Stato, riconoscimento di uno o più culti, presa in carico da parte dello stesso Stato dell´insegnamento della religione, istruzione religiosa confessionale o trasmissione culturale della religione, corsi sulle visioni del mondo o di etica e morale, eccetera (e senza tener conto della diversità dei sistemi scolastici), si hanno situazioni che incidono in modo profondamente diverso sull´insegnamento della religione a scuola. Nel modo in cui nei vari paesi europei si è impostata "la scuola di Dio" (o degli dèi o del divino o del sacro) non esiste quasi un elemento ricorrente, al punto che ci si è legittimamente chiesti in che cosa consista veramente la conclamata laicità dell´Unione europea.
Questa grande varietà si manifesta sia nello statuto accordato a un eventuale insegnamento della religione (o comunque esso sia definito: anche questo, evidentemente, un campo suscettibile di variazioni), se cioè disciplina ordinaria, opzionale, facoltativa o parascolare; sia nella sua natura, a seconda, cioè, che esso sia pienamente confessionale o catechistitico o, ancora, semiconfessionale (confessionale, cioè, quanto ai suoi contenuti e/o agli insegnanti, ma aconfessionale quanto ai suoi obbiettivi educativi, o viceversa). Né vanno tralasciate le differenze concernenti la fonte della sua legittimazione (costituzionale, parlamentare, concordataria, legata a decisioni locali o regionali, eccetera), le ragioni esplicite e/o implicite della sua iscrizione al curriculum scolastico, le attese a ciò collegate, e, non per ultimo, il personale insegnante a ciò delegato.
Di fronte a tali e tante variabili, è possibile ricondurre questa diversità a quattro modelli. Il primo, comprendente la maggior parte dei paesi europei in cui una Chiesa ha beneficiato a lungo (o beneficia ancora) di una posizione di egemonia, prevede un insegnamento confessionale obbligatorio: vi potremmo far rientrare la Grecia, l´Irlanda, il Portogallo. Il secondo modello prevede che questo insegnamento abbia, sì, uno statuto, ma più o meno facoltativo, prefigurando in genere un corso "alternativo", talora aperto allo studio delle altre religioni, talaltra allo studio delle visioni del mondo o dell´etica: vi rientrerebbero, oltre all´Italia, anche la Spagna e la Gran Bretagna. Quanto alla Germania, con la sua tradizione biconfessionale, essa costituirebbe una variante di questo modello; il Belgio, dove lo stato ha una posizione di neutralità e l´insegnamento religioso dei "culti riconosciuti" è integrato nella scuola ufficiale, sembra attualmente essere il paese dove questa soluzione pluralista è stata perseguita maggiormente. Un terzo modello è rappresentato dal caso della Danimarca. Infine, il quarto modello è quello della Francia, dove la rigida separazione tra Stato e Chiesa, tipica della tradizione laica francese, non contempla nelle scuole pubbliche alcun insegnamento.
Di fronte a tale varietà, l´Assemblea parlamentare del Consiglio d´Europa il 4 ottobre del 2005 ha adottato a Strasburgo un rapporto su Educazione e religione, presentato da André Schneider, che fissa alcuni principi di fondo:
1. l´educazione in vista della costruzione di una cittadinanza attiva, di un futuro cittadino in grado di vivere in una società multiculturale e plurireligiosa, include la competenza a interagire con la propria cultura e, dunque - indipendentemente dalla propria posizione personale - con la religione che ne costituisce la componente identitaria fondamentale, nella comprensione e nel rispetto delle religioni degli altri. La scuola si deve dunque porre il problema di come favorire un´assunzione delle credenze e convinzioni di ciascuno, nella loro diversità, religiose e non religiose, per permettere quella convivenza basata sul rispetto reciproco, che costituisce la base di un vivere insieme di tipo democratico;
2. questa educazione deve essere basata su di un insegnamento cognitivo e critico: il rapporto invita chiaramente a mantenere i confini tra insegnamento culturale (pubblico e neutrale) e pratica cultuale (privata e confessionale);
3. la dimensione cognitiva dell´insegnamento proposto non esclude quella etica. Il rapporto Schneider rileva infatti l´importanza di un insegnamento sulle religioni che favorisca la conoscenza e il rispetto della dignità dell´uomo non in quanto credente, ma appunto in quanto uomo.
Si tratta di principi largamente condivisibili e sui quali, comunque, occorrerebbe riflettere nel momento in cui, com´è auspicabile, si decidesse anche