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Repubblica-DOMANI L'INGEGNERE SARÀ UN COLLETTO BLU

MARIO PIRANI DOMANI L'INGEGNERE SARÀ UN COLLETTO BLU' In Linea di confine della settimana scorsa ho accennato alla crisi che inizia ad essere percepita nelle più avanzate facoltà di ingegne...

18/10/2004
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la Repubblica

MARIO PIRANI
DOMANI L'INGEGNERE SARÀ UN COLLETTO BLU'

In Linea di confine della settimana scorsa ho accennato alla crisi che inizia ad essere percepita nelle più avanzate facoltà di ingegneria negli Stati Uniti in seguito ai primi sintomi di trasferimento in Cina e in India non solo delle produzioni industriali ma altresì delle attività di progettazione e perfino di ricerca. I costi sono, infatti, molto più bassi e il personale locale sempre più qualificato. Sull'edizione italiana, diretta da Alessandro Ovi, della rivista del Mit, "Technology Revue", si possono leggere interessanti analisi del problema e le proposte che i rettori delle principali università Usa hanno cominciato a suggerire. Qui posso solo darne schematici cenni. Il primo punto riguarda le modifiche da apportare ai piani di studio.
Per un neoingegnere l'eccellenza tecnologica da sola non basterà più. Occorre una buona consapevolezza globale, propensione a interagire con culture e modi di lavoro diversi. Sarà quindi opportuno organizzare stage in università straniere, corsi di politica e regolamentazione internazionale, rafforzare gli insegnamenti in lingue europee e asiatiche. In secondo luogo si raccomanda di concentrare gli sforzi nei settori dove è più largo l'orizzonte di cose nuove come le biotecnologie e le nanotecnologie. Seguendo le vecchie formule si corre il rischio di vedere lentamente gli ingegneri diventare i colletti blu della globalizzazione.
Un approfondimento viene dedicato all'ingegneria dei tessuti umani che comprende tutti quei processi che combinano cellule viventi e biomateriali, utilizzano cellule viventi per terapia e diagnostica, generano tessuti o organi in vitro per poi impiantali in vivo, forniscono materiali e tecnologie per rendere possibili questi processi tra cui la clonazione terapeutica, la medicina rigenerativa, l'organogenesi basata sulle cellule staminali. Gli sviluppi della biologia cellulare dovuti alla mappatura del genoma umano e alle più recenti scoperte nella differenziazione cellulare hanno attivato molta ricerca di base rilevante per l'ingegneria dei tessuti e viceversa. Si toccano qui problemi rilevanti anche dal punto di vista etico.
Se in Italia verranno affrontati con lo spirito che ha caratterizzato la legge sulla procreazione assistita la ricerca, specie nei settori della medicina, biologia e bioingegneria ne risentirà grandemente.
Sempre sul futuro dell'ingegneria ma su un piano diverso segnalo un affascinante articolo del professor Vincenzo Tagliasco, ordinario di bioingegneria, sul numero di settembre del mensile torinese "Media Duemila", diretta da Giovanni Giovannini (media2000tin. it). L'articolo prende spunto da una offerta, apparsa su Internet, per un posto di professore associato in entertainment engineering (che si può tradurre malamente come ingegneria dell'intrattenimento) presso l'Università del Nevada. Riguarda la progettistica dei parchi di divertimento, robotica e controllo dei movimenti, acustica, luci e musica, scenografia col calcolatore, computer graphic, realtà artificiale, ecc. "Per me che ho vissuto l'adolescenza nel mito dell'ingegnere di fabbrica - scrive il professor Tagliasco - la conferma della nascita di un settore dell'ingegneria all'intrattenimento... un settore meno arcigno e dedicato a materie trascurate negli ultimi centocinquanta anni dalla rigida tradizione dei politecnici, nati dalle scuole militari durante la Rivoluzione francese, mi ha confermato una linea di tendenza della tecnologia nei paesi avanzati verso una "leggerezza" che contrasta sempre più con gli obbiettivi della visione ottocentesca dell'ingegneria". Peraltro non è sempre stato così e l'autore traccia un vasto panorama della storia dell'ingegneria da Vitruvio fino a Leonardo e i suoi meccanismi, i soli che riescano a reggere il paragone con le meravigliose macchine ideate dagli arabi, destinate non solo ad essere utili ma anche a stupire pur non essendo utili. Non posso qui ripercorrere tutte le scansioni del saggio: da Galileo ai fabbricanti di automi del Sette-Ottocento fino alla comparsa del robot, del calcolatore, del microchip, dell'informatica musicale. Nell'ultima parte dell'articolo, peraltro, Tagliasco sottolinea "la grande difficoltà di introdurre contenuti umanistici nelle nostre facoltà d'ingegneria per le difficoltà frapposte non solo dal corpo docente ma dagli stessi studenti che li considerano non finalizzati all'efficienza dei corsi di studio scelti". Non capiscono che l'ingegneria tradizionale sta mutando pelle per sopravvivere e che la fusione fra strumento tecnologico e gestione delle emozioni fa parte della professione. Nei grandi politecnici Usa già ci si muove in questa direzione.