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Repubblica-Genova-"Io, prof, spero ancora di cavarmela"

"Io, prof, spero ancora di cavarmela" Liceo D'Oria: l'anno nuovo tra riforme, tagli e solide vocazioni 5 mila 200 6,12% 170 mila Alla vigilia dell'...

10/09/2005
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la Repubblica

"Io, prof, spero ancora di cavarmela"
Liceo D'Oria: l'anno nuovo tra riforme, tagli e solide vocazioni
5 mila
200
6,12%
170 mila
Alla vigilia dell'anno scolastico come si sta in cattedra tra grandi cambiamenti e coscienza del ruolo
Parla la Bottazzi, insegnante di greco, ex allieva, affascinata da Albini: "Alla fine conta la tua convinzione"
WANDA VALLI


"Cantami, o diva" scrive, sulla lavagna, Rossana Bottazzi, docente di greco al liceo "Andrea D'Oria", sezione G. E' il primo verso dell'Iliade, che narra, subito dopo," del pelide Achille l'ira funesta ". E per lei, docente per passione e per scelta, nella scuola della riforma Moratti, scatta o è già scattata l'ira funesta? Come affronta i primi giorni del nuovo anno scolastico? Non è iraconda come il grande Achille, la professoressa Bottazzi. Bionda, carina, modi dolci, ma determinati, un figlio di 25 anni, spiega che risponde agli intoppi da burocrazia con l'impegno personale, con la disponibilità a adeguare linguaggi e modi, pur di riuscire a trasmettere ai suoi ragazzi educazione alla vita, una formazione adeguata. E' successo a lei, sempre qui a liceo D'Oria, sezione E, quando era allieva, adesso che sta dall'altra parte della cattedra, non intende svilire il suo lavoro. Tanto amato quanto mal pagato.
Professoressa con che animo si prepara al nuovo anno scolastico?
"Con l'animo di crede al suo lavoro, al concetto di educazione, alle risorse della persona da mettere in campo contro gli ostacoli burocratici. Questi ragazzi vivono con noi una parte importante dell'adolescenza, senza fare buonismi sono anche un po' figli nostri. Alle nuove generazioni serve una formazione, un'educazione alla vita che parta dalla tolleranza, parola che non amo perché rimanda al suo contrario, l' intollerenza".
Quando ha deciso di fare l'insegnante?
"Era una mia passione, fin da piccola, incoraggiata da mia madre, maestra, e anche da mio padre. Mi sono laureata nel 1978 in lettere antiche con il professor Albini, per sedici anni sono stata precaria. Nel 1995, a 35 anni, sono passata in ruolo. Supplenze annuali al liceo classico Delpino di Chiavari e, alla fine, sono tornata a Genova, al D'Oria. Mi dispiace per mio padre, se n'è andato prima di vedermi fissa, stabile".
La scuola è stata stravolta dalla riforma Moratti?
"Adesso dalla Moratti, prima da altri, al punto che temo che la cultura sia considerata un pericolo dalla classe dirigente politica. Estremizzando, è come se volessero tendere a far diventare tutti un po' più ignoranti, non considerano che la scuola è una strada importante per la formazione dei giovani, ma non la sola. Ma il D'Oria, il liceo classico in genere, non è mai massacrato fino in fondo, si da da fare".
Intanto, si pensa a diminuire le ore di greco e latino.
"Per ora la flessibilità delle ore di insegnamento, è sperimentale. Loro, i legislatori, devono aver voglia di creare una società generalizzata verso il basso, senza l'intento di creare cultura. Io non ci sto".
Professoressa, non è pesante?
"Sì, ma non importa. Mi tolgono tre ore di greco? Vedremo. Nessuno mi impedirà di spiegare ai ragazzi che la conoscenza è qualcosa che non si ferma in superficie, qualcosa di profondo. L'ho imparato proprio qui, da studentessa. La professoressa Cella, di greco, ci ha trasmesso la passione di scoprire che cosa nascondono i testi. Poi un giorno è venuto Umberto Albini. Sembrava un attore di Hollywood, si è seduto di traverso sulla cattedra, ha tenuto una serie di lezioni sul teatro e sull'oratoria. Mi hanno affascinato".
Un po' diverso da oggi.
"In effetti. C'è un deteriorarsi dell'insegnamento che parte dalle elementari e noi innestiamo latino e greco su una lingua italiano di per sé fragilissima. Gli studenti usano un gergo povero, simile, limitato".
Non si sente frustrata?
"No, si possono cercare nuovi metodi, siamo obbligati noi insegnanti a rinnovarci per arrivare vicini ai ragazzi".
E' ottimista?
"Sì, altrimenti non avrei fatto sedici anni di precariato, avrei cambiato lavoro, sarei andata a guadagnare di più. Per me c'è proprio la passione. E se ci sono gli irriducibili per l'ignoranza, qui la maleducazione è limitata. Non è poco ".
Ma sanno di greco e latino quando arrivano al liceo?
"Di greco, in una classe di 25 alunni, di solito una decina arriva a sapere qualcosa. Altri no, ma perché prima non sono stati interessati, stimolati, incuriositi. Alcune classi nascono male, resta la soddisfazione di riuscire a trasmettere gli strumenti per conoscere a qualcuno. Io insegnante devo perdere la IV ginnasio per risistemare l'italiano, la V per recuperare latino e greco per scoprire, in prima liceo, che di greco debbo tornare alla sintassi. Con qualche sorpresa. Ho avuto alunni fragili che si sono iscritti all'Università".
Un paragone tra studenti di ieri e di oggi?
"Erano più preparati in termini di scuola primaria e di media inferiore dove ho insegnato. Fino al 1995, al primo decreto D'Onofrio. C'era una spinta diversa".
E adesso?
"Dobbiamo essere noi insegnanti a ridimensionarci se vogliamo che i ragazzi imparino. C'è chi si arrocca e riversa tutto, frustrazioni, rabbia, sugli allievi e accusa colleghi come me di ignoranza. Sbagliano, io non otterrò nessun risultato se non tengo in conto la situazione di partenza".
Esiste ancora il concetto del docente da rispettare per il suo sapere?
"In IV ginnasio ci vedono un po' come mostri che sanno tante cose. Al liceo è diverso. Gli allievi mi danno del lei, ma sanno che sono disponibile al dialogo, a capirli senza castighi. E poi, con latino e greco, ho un'arma micidiale: le versioni. Se prendono 3 è 3 e basta. Ma spetta a me far capire che il giudizio è sulla prova non sulla persona, altrimenti li umilio e non si può sperare di avere un qualche "ritorno" se si viene offesi dal voto. Così rischio l'effetto opposto"
Quale?
"La Bottazzi è buona, dicono e allora ogni tanto, per usare il loro linguaggio, devo "girare i denti"".
Succedeva anche all' allieva Rossana Bottazzi?
"La mia generazione ha subito il voto alla persona. Intanto, quando parlavi a casa, i professori avevano sempre ragione, e poi se ti chiedevano cose impossibili, alla prima lezione di Filosofia, e tu non le sapevi e ti sentivi in ansia".
Tutto finito, adesso. O no?
"Il brutto voto non è qualcosa che si rifletta su di loro, a partire dalla famiglia".
Professoressa, col cuore in mano, davvero rifarebbe l'insegnante?
"Sì".
Nonostante riforme e problemi?
"Ancora sì. Del resto anche da studentessa sono sopravvissuta a molte riforme, l'abolizione dell'esame di ammissione alle medie, il nuovo esame di maturità a quattro materie. Ecco, se abolissero quello che c'è adesso, sarebbe meglio. Non ha proprio senso".