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Repubblica: I giovani e il mercato del lavoro

Le politiche per i giovani debbono mirare a restituire loro le prerogative perdute, mettendo in moto quei meccanismi che ne valorizzano la capacità

17/12/2007
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la Repubblica

I GIOVANI E IL MERCATO DEL LAVORO

MASSIMO LIVI BACCI

Per quanto riguarda i giovani, il mercato del lavoro appare recalcitrante a funzionare secondo le regole di Adam Smith. I giovani, infatti, sono una risorsa sempre più rara, oggi, in Italia. Nel 1988 compirono vent´anni circa 900.000 ragazze e ragazzi; nel 2008 i ventenni saranno 570.000 (il 37% in meno).
Eppure il loro "prezzo" sul mercato – a giudicare dal salario che guadagnano, quando lavorano – è basso, inferiore a quello dei coetanei europei, ed è perfino diminuito in termini reali negli ultimi anni. E non è tutto, perché quando i giovani offrono il loro lavoro sul mercato, trovano pochi acquirenti, come dimostrano gli alti tassi di disoccupazione. Questi, ed altri, sono aspetti davvero inquietanti della "questione giovanile", entrata finalmente tra le grandi questioni nazionali. Nel 2006 c´erano 19,2 milioni di giovani (15-39 anni) in Italia, e numeri quasi identici in Francia e Gran Bretagna; ma coloro che si dichiaravano attivi (occupati o alla ricerca di un lavoro) erano 12,3 milioni da noi, 13,4 in Francia e 14,6 in Gran Bretagna. Supponiamo che con politiche adeguate riuscissimo a colmare, nel giro di un decennio, il distacco che ci separa dalla Gran Bretagna. Ciò significherebbe una spinta in alto al PIL, in ogni anno, superiore a mezzo punto percentuale, rimettendo il nostro sviluppo al passo con l´Europa. Non sarebbe davvero un risultato da poco!
Come interpretare questo fenomeno tutto italiano e causa primaria del ristagno del paese? Una prima spiegazione potrebbe contraddire la premessa: il mercato, in realtà, funziona, ma è la risorsa "giovane" ad essere di qualità modesta, e pertanto poco appetibile. Perciò al giovane viene preferito un lavoratore già sperimentato; altrimenti il salario offerto è modesto. Questa tesi può non piacere e va contro il consueto mantra elogiativo della gioventù, tuttavia essa va giudicata per la sua forza esplicativa. Ebbene, alcune considerazioni fanno ritenere che non sia sprovvista di fondamento. La dispersione scolastica è più alta che altrove e fa sì che molti giovani non raggiungano i minimi livelli formativi; per altri giovani che accedono all´istruzione post secondaria, il processo formativo è inefficiente e troppo lungo, cosicché entrano al lavoro troppo tardi. Per altri ancora, la formazione non è consona alle capacità e alle predisposizioni individuali, per l´assenza o l´inefficienza dei processi di selezione all´entrata del percorso formativo o durante di esso. Infine la lunga permanenza in famiglia priva il giovane di quelle esperienze di autonomia di vita assai utili anche nei percorsi lavorativi. Chi vorrà il trentenne che ha studiato troppo a lungo discipline per le quali era poco portato, magari con una specializzazione poco apprezzata dal mercato? E che è scarsamente incline alla mobilità, perché troppo attaccato al luogo di residenza, come mostrano tante indagini?
Tuttavia è anche l´organizzazione, o disorganizzazione, della nostra società a portare parecchie responsabilità della bassa occupazione giovanile. Per lungo tempo se ne è imputata la colpa alla rigidità del mercato del lavoro, e all´eccessiva protezione accordata agli insider rispetto agli outsider. Nell´ultimo decennio, però, le massicce dosi di flessibilità iniettate nel sistema hanno cambiato la situazione, ma nonostante questo i tassi di attività giovanili sono, oggi, più bassi di 10 anni fa. Altre barriere permangono: l´entrata nelle professioni è più ardua che in passato; l´avvio di attività imprenditoriali è irto di adempimenti e l´accesso al credito difficile; la diffusione della precarietà fa si che periodi di lavoro siano seguiti da lunghi intervalli di non lavoro; un welfare avaro per le famiglie con figli scoraggia il lavoro femminile; l´asfittico mercato degli affitti strozza la mobilità. Non meraviglia che i giovani occupati siano relativamente pochi.
C´è la tentazione di risolvere la questione giovanile con operazioni aritmetiche: imponendo quote, congetturando rottamazioni degli anziani o forzose alternanze tra giovani e non giovani. Soluzioni a tavolino destinate al fallimento, sulle quali è bene non investire energie. Le politiche per i giovani debbono mirare a restituire loro le prerogative perdute, mettendo in moto quei meccanismi che ne valorizzano la capacità. Occorre ridurre la dispersione scolastica, in primo luogo. Ma anche instaurare processi di selezione e competizione per l´accesso all´istruzione terziaria e, in particolare, alla terziaria avanzata (le lauree specialistiche, cui oggi quasi tutti accedono). L´istruzione di base deve essere dominio di tutti; ma quella avanzata – che costa parecchio – deve essere l´orto dei capaci, degli appassionati, dei meritevoli. Ogni studente universitario riceve una "borsa di studio" dalla fiscalità generale dell´ordine di diverse migliaia di euro l´anno ("borsa" che non esiste nei fatti, ma che è implicita nel saldo negativo tra tasse universitarie e costo pro-capite dell´istruzione): è giusto che ne goda chi non è all´altezza? E chi è capace deve chiudere il suo curriculum nel tempo assegnato – pena la perdita della "borsa" (cioè l´aumento delle tasse). E poiché la dissennata politica della proliferazione delle sedi universitarie ha riprovincializzato i giovani che studiano sottocasa, occorrerebbe correre ai rimedi.
La proposta del governo Zapatero di un contributo ai giovani per l´affitto può avere effetti incisivi sulla mobilità, spingere i giovani all´autonomia, attenuando nel contempo gli effetti della precarietà (la Spagna somiglia molto all´Italia). Le detrazioni per i giovani tra i 20 e i 30 anni che affittano una casa, previste dalla finanziaria, vanno timidamente nella stessa direzione. Un´altra modesta proposta potrebbe consistere in una sorta di programma Erasmus universale: ogni giovane italiano, tra i 16 e i 25 anni, sia tenuto a trascorrere un anno di studio, formazione professionale o lavoro, in un altro paese europeo. Lontano dal campanile, dalla famiglia, dal bar dello sport. Sicuramente i benefici, alla lunga, sarebbero un multiplo dei costi.