Repubblica-i giovani pensano a un futuro senza storia
CARO Augias, sere fa ho visto un servizio del Tg2 dedicato all'insegnamento della storia nelle scuole. I ragazzi lamentavano noia e nozionismo, soprattutto non hanno saputo rispondere alla domand...
CARO Augias, sere fa ho visto un servizio del Tg2 dedicato all'insegnamento della storia nelle scuole. I ragazzi lamentavano noia e nozionismo, soprattutto non hanno saputo rispondere alla domanda su che cosa fossero le Fosse Ardeatine. Occuperebbe troppo spazio spiegare che all'argomento un docente dedica, in genere, poco più d'una citazione, mentre più spazio si dedica (elenco a caso) alla Resistenza, all'occupazione nazista, all'Italia divisa, al crollo di Salò, della monarchia, agli scenari del dopoguerra.
Ma non è questo il punto. Il punto è, credo, che dobbiamo chiederci se esista un luogo, istituzionalizzato, dove si apprende o se invece nozioni come queste non entrino nel nostro vissuto in un non luogo: ascoltando la radio, la tv, leggendo i giornali, discutendo con genitori e parenti, e via dicendo.
La scuola e la vita devono potersi integrare, altrimenti resta il nozionismo, facile rifugio del quale presto ci si dimentica. Potrà mai la scuola da sola, comunque riformata, far sapere ai suoi alunni che il Grande Fratello è un terribile despota partorito dal genio di un grande scrittore?
Lea Reverberi
learev@tin.it
LA SCUOLA da sola non può fare tutto, forse nemmeno molto, lei ha ragione. Dicendo questo dobbiamo però renderci conto che emettiamo una sentenza gravissima. Perché il solo modo in cui si potrebbe completare ciò che la scuola non fa è innalzando il livello culturale medio del paese, cioè nostro: film migliori, una tv migliore, conversazioni migliori, oso dire sentimenti migliori.
Ci sono famiglie in cui questo avviene e famiglie in cui non avviene. Famiglie nelle quali la povertà si misura non nel numero dei veicoli (che anzi abbondano) o nel costo d'una vacanza (altissimo) ma nel vuoto o nel silenzio d'una convivenza che proprio il denaro ha sterilizzato. Non succede solo in Italia, intendiamoci.
Ci sono decine di romanzi americani, di film inglesi, di studi di sociologia, in cui si racconta esattamente questo: il disfacimento della famiglia che era uno dei "non luoghi" in cui si tramandavano quanto meno le tradizioni e il sapere locali.
Per qualche anno dopo il 1954 (suo anno di nascita) la tv aveva surrogato la funzione; lo ricordava domenica scorsa Citati su questo giornale. Prima che la tv scoprisse la sua irresistibile vocazione commerciale, il piccolo schermo ha svolto un'azione poderosa d'educazione di massa. Ancora oggi se ne vedono i frutti nelle statistiche, per esempio quelle della vendita dei libri.
Non sto per fare il solito pianto sulla scarsità delle letture, si rischia di diventare una patetica macchietta. Ma se il professor Tullio De Mauro grida che un terzo abbondante degli italiani sono in pratica analfabeti perché non sanno o hanno dimenticato come si legge e si scrive, qualcuno forse dovrebbe allarmarsi. E se nessuno si allarma perché Lea Reverberi si stupisce? E io perdo il tempo mio e dei lettori a rispondere?
Il pensiero meno deprimente che ho è che stiamo attraversando una fase di passaggio dalla quale forse uscirà una cultura nuova e un modo nuovo di farla; bisogna avere pazienza, scrutare con cura i primi incerti segni. Nel frattempo rassegnandosi al fatto che Grande Fratello evochi per i più alcuni giovani che trascorrono futili giornate rinchiusi in una finta casa e non un bel romanzo profetico.