Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Repubblica - I nuovi esclusi dell'Europa tra sacrifici e riforme fallite

Repubblica - I nuovi esclusi dell'Europa tra sacrifici e riforme fallite

Il mercato sembra avere un solo scopo: privatizzare i guadagni e socializzare le perdite I recenti cortei di lavoratori nelle capitali Ue mostrano un malessere diffuso e crescente JEAN-PAUL FI...

29/11/2002
Decrease text size Increase text size
la Repubblica

Il mercato sembra avere un solo scopo: privatizzare i guadagni e socializzare le perdite
I recenti cortei di lavoratori nelle capitali Ue mostrano un malessere diffuso e crescente
JEAN-PAUL FITOUSSI

La rabbia, la frustrazione, la sfiducia che manifestano in questi giorni i lavoratori in Europa, scendendo in corteo nelle strade di Roma, Londra, Parigi, non sono nuove. È accaduto in maniera ricorrente negli anni Novanta. Ma questa volta si avverte un malessere esasperato e disperato, anche se largamente prevedibile. Una stupefacente moderazione salariale ha infatti caratterizzato la gestione dei salari nel settore pubblico, come nel settore privato. La società europea sta dicendo basta a questo rigore, ai continui sacrifici, soprattutto perché le riforme dei governi non hanno dato i risultati attesi.
L'Europa è ormai legata a una crescita economica lenta per cui è impossibile ripartire egualmente i frutti dell'espansione. Negli ultimi due decenni, la crescita non ha mai superato i tre anni consecutivi, un tempo insufficiente per produrre reali benefici sulle popolazioni. Il problema oggi è capire quando questo periodo finirà. È diventato ormai urgente che i lavoratori siano ricompensati, che si smetta di fare pesare su di loro la spada di Damocle dei sacrifici, imponendo di rinunciare a diritti fondamentali ottenuti con le lotte sociali del passato.
Quello che manca all'Europa è una visione del futuro. I governi non riescono più a dare assicurazioni alle future generazioni. Fino agli anni Settanta, i figli crescevano convinti che avrebbero vissuto meglio dei loro padri. Il progresso sociale era una garanzia. Adesso non è più così. Sentiamo parlare di un mondo migliorato dalle nuove tecnologie e dalle scoperte scientifiche. Ma c'è un evidente iatus tra quello che dicono i media e la realtà della situazione quotidiana che è fatta appunto di rabbia e frustrazione.
Non credo che le manifestazioni cui assistiamo in questi giorni in Europa siano il battesimo di un nuovo movimento sociale. Le società europee sono diventate molto più individualiste. La Francia è il paese dell'Ocse dove il tasso di sindacalizzazione è più debole. Anche altrove in Europa, lo spazio collettivo si è ridotto.
I lavoratori sono però esasperati. Hanno l'impressione che le evoluzioni delle Borse e delle grandi imprese europee, comprese quelle del settore pubblico, vadano in una sola direzione: socializzare le perdite, privatizzare i benefici. È un malessere che mette in discussione il capitalismo: fa dubitare che si tratti di un sistema più efficace dell'economia di mercato mista in vigore nella maggior parte dei paesi europei. I lavoratori che possono più facilmente farsi sentire sono quelli del servizio pubblico, ovvero coloro che sono protetti da forti garanzie contrattuali. Gli altri sono in una situazione di grande vulnerabilità e spesso non osano farsi sentire. Come è stato dimostrato in Francia durante i grandi scioperi del 1995, la società ha capito molto bene che non è rendendo più vulnerabili gli impiegati del settore pubblico che si migliora la situazione della collettività ma è, anzi, estendendo le garanzie contrattuali anche al settore privato.
L'interrogativo più attuale è quello di sapere le privatizzazioni dei servizi pubblici permetteranno veramente di vivere in un mondo migliore. Non è infatti il momento di permettere a qualche gruppo industriale di realizzare profitti a scapito dell'evoluzione futura dei servizi pubblici nei nostri paesi. L'esempio dei trasporti in Gran Bretagna lo testimonia e dovrebbe essere un monito. Inoltre, si percepisce sempre di più nella maggior parte dei paesi europei che i bisogni in servizi pubblici aumentano, innanzitutto nel campo dell'educazione e della sanità.
Il Consiglio europeo vuole accrescere la concorrenza in tutti i settori dell'economia ma dovrà anche fronteggiare le congiunture che ogni economia moderna conosce e continuerà a subire. In realtà quello che si produce oggi attraverso la discussione sul patto di stabilità è di sapere se gli Stati europei non stanno abdicando alle loro responsabilità di fronte alle sofferenze della società. C'è un nuovo fenomeno di esclusione sociale dovuto all'aumento della disoccupazione che, da due anni, ha ricominciato a crescere senza che nessun governo abbia adottato contromisure efficaci.
Si pone ormai un problema di credibilità della politica. È da troppo tempo che i governi promettono ai lavoratori una ricompensa, è da troppo tempo che si chiede loro di stringere la cintura. Quando finirà? I governi rimandano la risposta alla prossima riforma economica e sociale. Ma come credergli? Sono già state realizzate numerose riforme, ovunque in Europa: aumentata la concorrenza e la flessibilità dei contratti, approvate tante privatizzazioni. Quali effetti favorevoli hanno prodotto queste riforme? Certamente, non quelli sperati e annunciati. È difficile riformare davvero una società pretendendo in cambio soltanto sacrifici ed evitando di progettare un futuro migliore.
Le società europee non sono allergiche alle riforme. Occorre però che siano delle riforme per realizzare il meglio e non soltanto per evitare il peggio.