Repubblica-Il caso dell'Ateneo visto in tv non abituiamoci all'illegalità
'ANALISI Il caso dell'Ateneo visto in tv non abituiamoci all'illegalità La trasmissione Ballarò su Bari ci impone di dare una speranza ai giovani Molti non credono più che si ...
'ANALISI
Il caso dell'Ateneo visto in tv non abituiamoci all'illegalità
La trasmissione Ballarò su Bari ci impone di dare una speranza ai giovani Molti non credono più che si possa cambiare
ALBA SASSO
Ho provato dolore e rabbia nel vedere l'altra sera la trasmissione Ballarò sulle recenti vicende dell'Università di Bari. Quelle relative a esami che alcune testimonianze dicono "comprati" e, ovviamente, "venduti" e quelle relative a concorsi sui quali pende un'accusa di corruzione. Ma è giusto, mi chiedevo guardando sgomenta la trasmissione, che questi episodi diventino la cifra dell'intera università barese, la sua presentazione al mondo?
Certo, le leggi della comunicazione sono perentorie e prepotenti: non fa notizia il mondo degli onesti, di chi ogni giorno studia e lavora, fa notizia "l'uomo che morde il cane". Ma di più mi turba il fatto che a episodi di illegalità ci si possa abituare. Che prevalga la logica del "così va il mondo" e del "non sono fatti miei". Perché non scatta più l'idea, nel senso comune, che se non c'è trasparenza e legalità, non c'è giustizia, non c'è possibilità di riconoscere i meriti reali, e nel caso dell'Università non c'è crescita culturale e neppure "competitività"? Che valore potrà avere un titolo conseguito in un'università che rischia di avere "cattiva fama"? Perché fatti di illegalità (presunti per ora) non suscitano attenzione civile? Perché non appaiono come questione di tutti e non solo della magistratura?
E ancora: perché nessuno parla o denuncia? Perché nello sguardo della studentessa intervistata a Ballarò c'era amarezza, impotenza, rassegnazione? C'è voluto l'intervento di una coraggiosa e determinata giornalista de la Repubblica per denunciare un caso di qualche mese fa, di test di accesso fatti conoscere illegalmente. E c'è voluto l'allarme del preside di Economia e commercio, ora. Ma che idea di società stiamo consegnando alle giovani generazioni? Che idea di bene comune, ma anche di bene individuale se non emerge che il perdurare di un certo sistema danneggia il singolo, soprattutto se meno garantito? O quel meno garantito dovrà solo nutrire la speranza disperata di poter accedere, prima o poi anche lui, alla lotteria del "favore"?
E su quale idea di reclutamento e di rinnovamento dell'Università si sta lavorando? Le politiche del ministro Letizia Moratti (proposta di legge sullo stato giuridico dei docenti universitari) non affrontano il tema reclutamento come questione centrale per la qualità del sistema. Non è diluendo nel tempo la possibilità di accesso alle carriere né precarizzando il lavoro docente che si migliora l'università. Né mi convince la tranquillità del professor Loiodice (nella stessa trasmissione) nel riproporre la cooptazione come modalità di reclutamento. È o no in questo metodo il cuore di ogni possibile degenerazione?
Ma se ai giovani si toglie la possibilità di pensare che le cose possano cambiare, che procedure trasparenti e condivise, possono dar spazio ai "capaci e meritevoli" - e non solo a coloro che da bambini, in casa, hanno assaggiato il pane della scienza - si toglie loro anche la capacità di vigilare e di indignarsi. E si toglie loro speranza e futuro. Ce lo possiamo permettere?
deputato dei Ds