Repubblica: Il cittadino mortificato
Stefano Rodotà Una società civile resa opaca e silenziosa dal divieto di assicurarle informazioni essenziali. Questo è il cambiamento del sistema istituzionale e sociale che ci consegna la nuova legge sulle intercettazioni telefoniche.
Un Parlamento mortificato, ridotto una volta di più a luogo di silenziosa ratifica della volontà del Governo. Una magistratura resa impotente di fronte a fenomeni gravi di illegalità. Un sistema della comunicazione espropriato della sua funzione di "ombudsman diffuso", della possibilità di riferire fatti di indubbia rilevanza pubblica.
Una società civile resa opaca e silenziosa dal divieto di assicurarle informazioni essenziali. Questo è il cambiamento del sistema istituzionale e sociale che ci consegna la nuova legge sulle intercettazioni telefoniche.
Siamo di fronte ad una nuova manifestazione di una linea ben nota, ad una accelerazione della irresistibile volontà di liberarsi proprio di quei contrappesi, di quegli strumenti di garanzia che, in un sistema democratico, possono impedire la degenerazione del potere, il suo esercizio incontrollato, la creazione di sacche di impunità. Per realizzare questo risultato si è insistito molto sulla necessità di tutelare la privacy delle persone, troppe volte violata. Ma questo argomento, in sé legittimo, è stato trasformato in pretesto per una disciplina punitiva, che con la tutela della privacy non ha niente a che vedere. Negli anni passati, infatti, proposte di legge presentate dalle più diverse parti politiche avevano individuato i soli punti sui quali era necessario intervenire: divieto di pubblicare brani di intercettazioni ancora coperti dal segreto, irrilevanti per le indagini, riferiti a persone diverse dagli indagati. Obiettivi che possono essere raggiunti senza restringere, o addirittura cancellare, le possibilità investigative da parte della magistratura e senza negare il diritto costituzionale all´informazione che, ricordiamolo, non è privilegio del giornalista, ma elemento storicamente essenziale per il passaggio da suddito a cittadino.
Perché, allora, un mutamento così radicale dei contenuti della legge e la fretta nell´approvarla, ricorrendo al voto di fiducia? Una ragione, la più immediata, riguardava il rischio che, pure in una maggioranza che si proclama ad ogni passo compatta, si manifestassero quei dissensi e quelle proposte di emendamento già affiorati nelle dichiarazioni di alcuni parlamentari. Il voto di fiducia non solo accorcia i tempi, ma soprattutto obbliga al silenzio. Una finalità di normalizzazione, dunque, una conferma ulteriore della considerazione del Parlamento come puro intralcio da rimuovere con qualsiasi mezzo, ignorando l´imperativo democratico che, soprattutto per le leggi incidenti su diritti fondamentali delle persone, imporrebbe la discussione più libera e aperta.
Ma la fretta, questa volta, ha una ragione più profonda. Proprio in occasione delle ultime elezioni si è visto che i mezzi d´informazione possono contribuire a modificare l´agenda politica, che la voce dei cittadini informati può sopraffare una comunicazione addomesticata. Una situazione che deve essere apparsa intollerabile, che non deve consolidarsi. Ecco, allora, che si prende al volo l´occasione offerta dalla tutela della privacy per piegare la legge ad un´altra finalità, per interrompere fin dall´origine il circuito informativo. Per questo era necessario ridurre le informazioni che la magistratura può raccogliere. Per questo erano necessarie nuove barriere, per impedire che le informazioni potessero poi giungere ai cittadini, se non dopo essere state sterilizzate dal passare del tempo. All´intento originario di punire magistratura e stampa si è aggiunta questa ulteriore urgenza. Non si può tollerare che i cittadini dispongano di informazioni che consentano loro di non essere soltanto spettatori delle vicende politiche, ma di divenire opinione pubblica consapevole e reattiva.
Di questa strategia, tanto rozza quanto efficace, si possono subito misurare le conseguenze. È stato ricordato che i risultati appena raggiunti dalla Procura di Venezia nella lotta al traffico degli immigrati, proprio un tema sul quale insiste fino a un pericoloso parossismo repressivo l´attuale maggioranza, sono il frutto di intercettazioni durate due anni. Con le nuove norme questo non sarebbe stato possibile. Queste, infatti, prevedono che le intercettazioni possano durare due mesi al massimo, ed è assai dubbio che nel caso veneziano potessero addirittura cominciare, viste le condizioni restrittive alle quali sono ormai subordinate. Le preoccupazioni espresse da magistrati e poliziotti, dunque, hanno un ben solido fondamento, e la contraddizione tra proclamazioni e strumenti dimostra quale sia il vero intento delle nuove norme.
Da molti anni, peraltro, disprezzo per la legalità e ostilità per l´informazione vanno di pari passo, e la restrizione delle possibilità investigative esigeva altrettante limitazioni della libertà d´informazione. Il punto rivelatore è rappresentato dal divieto di rendere pubbliche anche le intercettazioni non più coperte dal segreto. E il meccanismo delle sanzioni è particolarmente grave, soprattutto perché, accanto a intimidatorie sanzioni penali per i giornalisti, introduce una "censura economica" più pesante di qualsiasi altro meccanismo di controllo. Poiché si prevede che gli editori possano essere obbligati a pagare forti multe, è ovvio che pretenderanno di minimizzare questo rischio, interferendo nel libero lavoro d´informazione. Così, "Il Padrone in redazione" non sarà più solo il titolo di un bel libro di Giorgio Bocca, ma il destino promesso al sistema italiano della comunicazione.
Peraltro, proprio perché non più coperte dal segreto, le intercettazioni saranno nelle mani di molti, a cominciare dalle schiere di avvocati e loro collaboratori che accompagnano ogni indagine di qualche peso. Così, il divieto di renderle pubbliche creerà un grumo oscuro, disponibile per manovre oblique, manipolazioni, persino ricatti (che cosa sarebbe accaduto con la segretezza coatta delle indagini sui "furbetti del quartierino" e dintorni?). Corretto corso della giustizia e diritti delle persone (privacy inclusa) saranno assai più a rischio di oggi, in assenza di quei benefici contrappesi democratici che si chiamo trasparenza e controllo diffuso.
Il Presidente del Consiglio si accinge a partire per gli Stati Uniti. Chi sa se qualcuno dei suoi collaboratori, preparando i necessari dossier, penserà di inserirvi la citazione di quel che scrisse un grande giudice costituzionale americano, Louis Brandeis: "La luce del sole è il miglior disinfettante".