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Repubblica: Il deserto delle speranze

A chi guarda al futuro della società italiana deve stare sommamente a cuore la funzione viva e vitale dell´università come luogo fino a oggi unico in Italia di trasmissione del sapere e di avvio alla ricerca

19/05/2009
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la Repubblica

Adriano Prosperi

Si chiama G8 dell´Università . Si svolge in una Torino dove è ancora fresca la memoria della contestazione operaia al Lingotto. Ci saranno anche qui episodi di quel genere?
Qualcuno tenterà di gettare giù dalla cattedra un Magnifico Rettore? Un fatto è certo: operai e studenti non sono più uniti come nel ?68. Ma li unisce tuttavia un disagio profondo, una difficoltà di vedere la luce oltre il buio della crisi. E la crisi degli studenti ha in comune con quella degli operai questa sensazione di vivere un presente senza futuro. Verrà qualche risposta da Torino? I segni che vengono da questa città sono importanti per tutta l´Italia. Qui il Primo Maggio 2009 è caduto tra il processo per i sette operai morti nel rogo della Thyssen-Krupp e le notizie dell´avanzata nel mondo della Fiat di Marchionne: una tragedia e una speranza. All´università non ci sono tragedie. O meglio, ce n´è una così grande che non riusciamo quasi a vederla: in questo mondo di giovani non ci sono speranze. C´è la sensazione diffusa di una delusione storica: un gran vento di delusione che frena le nuove leve, fa calare gli iscritti, inaridisce la generosità dei giovani e la loro naturale voglia di cambiare il mondo in un cinismo precocemente senile. «Se rinasco non mi laureo»: parole come queste si leggono spesso nelle confessioni dei giovani sul web: tanti i pentimenti e le frustrazioni per una laurea che non è servita a dare un lavoro soddisfacente. La crisi che morde sul vivo del tessuto sociale fa saltare le illusioni di una promozione sociale legata al titolo di studio. Qui si vive alla giornata sotto la grandine di statistiche tutte deprimenti: calo degli iscritti, calo dei finanziamenti, riduzione dei corsi. A disagio è lo stesso ministro Gelmini che ha dovuto ammettere che i dati Eurostat sulla situazione dell´università italiana e sul numero di giovani laureati nel nostro paese ?non sono particolarmente brillanti e destano forte preoccupazione´. L´Italia, maglia nera nelle statistiche degli investimenti per la scuola e per la ricerca, lo è anche in quelle della percentuale dei laureati. Naturalmente tutto può essere consentito ad un ministro fuorchè la meraviglia davanti agli esiti prevedibili di scelte deliberate. Quello che la finanziaria lampo del ministro Tremonti ha voluto si sta realizzando passo dopo passo. E l´impoverimento delle nostre istituzioni di ricerca e di studio ne è la concreta risultanza. Ma la delusione sociale che circonda la scuola e l´università è un fenomeno che va al di là del contributo di questo governo. È un sintomo importante di un momento critico di passaggio tra l´Italia contadina e analfabeta di ieri e il paese che sconta le sue deficienze profonde nella gara internazionale in atto proprio sul terreno della crescita culturale collettiva. Non c´è giorno in cui il livello di povertà estrema di idee e di valori portati dalle forze dominanti nel paese non si renda evidente al mondo intero. La retorica xenofoba scatenatasi tra i contendenti interni al governo di destra per la conquista dei voti e per l´ormai aperta guerra di successione all´attuale leadership berlusconiana sta creando ogni giorno situazioni grottesche per l´immagine dell´Italia e degli italiani nel mondo intero. Il legame tra forze eterogenee unite oggi dall´obbedienza all´unico leader ma in lotta per la ormai imminente successione è fatto di poche e poverissime parole d´ordine. Spetta oggi a chi si oppone al paese incolto, depresso e corrotto che questo governo rappresenta e alimenta, cominciare a ipotecare il futuro. C´è un´immagine che ha colpito i commentatori americani del rinnovamento della Fiat sotto la direzione di Marchionne: è stato detto che sotto di lui sono stati allontanati tutti quei settori dirigenziali che erano cresciuti a dismisura come un colesterolo a ingombrare le vene dove circola il sangue del lavoro operaio. Qualcosa del genere sarebbe necessario all´università: qui il colesterolo che incrosta la circolazione del sapere e rallenta la crescita intellettuale delle giovani generazioni è costituito dalla crescita di una serie di concrezioni burocratiche alla cui ombra si sono formati centri di potere e di corruzione. Nella piccola borghesia italiana non si è ancora cancellata l´idea del titolo di studio come carta di accesso al club del privilegio. Mantenere i privilegi in una società formalmente democratica è possibile ad un solo patto: lo svuotamento e la falsificazione delle regole fondamentali del gioco. E se questo accade nella politica e nell´economia del paese, non si vede perché dovrebbe restare indenne la divisione sociale del sapere. Così per garantire al figlio del potente barone della medicina gli stessi privilegi del padre è necessario svuotare di serietà i concorsi, trasformarli nel falso attestato di una gara intellettuale che non c´è stata. La denunzia di questo stato di cose ha riempito le cronache, ma non ha portato a nessun serio cambiamento. Si è parlato molto di riforma delle regole ma questa riforma non è venuta. I segni che se ne conoscono si muovono lungo l´antico tracciato della dominante burocratica che ha soffocato sempre la dinamica creativa degli studi e della ricerca. La riforma che si prepara registra solo qualche aggiustamento destinato a mascherare l´assetto creatosi negli anni in Italia senza modificarlo. E l´assetto è tale da allontanare decisamente l´Italia dal quadro della competizione intellettuale per attirare i migliori e emarginare i pesi morti. Una volta Giorgio Pasquali si augurò che l´università abbandonasse « l´ipocrisia, che è insieme gioco di bussolotti, dei concorsi». Quel gioco oggi è più pesante e squalificato che mai, almeno da noi. Ma è l´intero mondo universitario italiano a soffrire di un discredito sociale diffuso che lo accomuna nella mentalità corrente agli altri luoghi di potere e di ricchezza - luoghi dove la corruzione è ammessa come un dato incancellabile, una condizione essenziale dello stesso funzionamento normale delle cose. C´è chi dice che la corruzione in Italia è un fenomeno incancellabile, che fa parte del costume o addirittura del Dna degli italiani, che si lega a una storia diversa. A queste valutazioni, frutto del clima depresso e confuso in cui viviamo, bisogna reagire. A chi guarda al futuro della società italiana deve stare sommamente a cuore la funzione viva e vitale dell´università come luogo fino a oggi unico in Italia di trasmissione del sapere e di avvio alla ricerca. E´ qui che si gioca una partita decisiva per il paese. Dalla sessione del G8 dell´università ci aspettiamo uno sguardo severo sulla realtà attuale per tanti aspetti poco rosea della condizione degli studi ma anche la capacità di guardare alle cose con la prospettiva lunga del tempo dei giovani. Anche in Italia l´università è oggi finalmente una realtà di massa. Questo vuol dire che a tutti i livelli sociali e in tutte le regioni del paese l´università è entrata nell´orizzonte del futuro di ogni giovane come una possibilità, come una speranza. Non è più il passaggio obbligato di una minoranza che si trasmette col diploma di laurea un appannaggio di famiglia: o almeno non è più solo questo. Nella scala dei valori sociali quel modo di pensare appartiene al passato