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Repubblica: Il mondo alla lavagna

Maestri la copertina

14/09/2008
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la Repubblica

Sguardi bonari o arcigni fissati per sempre in una fotografia scattata nel cortile di una scuola. Mentre le elementari, tra le polemiche, si preparano al ritorno dell´insegnante unico, ecco il racconto di come vivono i docenti e di cosa hanno lasciato nella memoria di quattro scrittori italiani

Renato Facchetti in cattedra dal 1973: "è un mestiere difficile, oggi anche ingrato e poco prestigioso. Ma educare i bambini, vederli diventare curiosi, è la cosa più bella del mondo"

(SEGUE DALLA COPERTINA)

«Ricominciare con una prima è sempre una nuova avventura. Per me sarà l´ultima, visto che la pensione si avvicina. Ma spero di portare anche questi bimbi in quinta. Come sempre, non organizzerò feste di saluto: mi fanno stare troppo male. Cinque anni assieme, quando finiscono, ti portano via un pezzo di vita».
Renato Facchetti, 57 anni, ricorda bene quella mattina del 10 settembre 1973. «Il mio primo giorno da maestro di ruolo, una quinta classe a Travagliato, paese di campagna. Capelli un po´ lunghi e jeans, perché ero un cattolico del dissenso con la Lettera a una professoressa di don Milani sempre nella cartella. Ma avevo anche la giacca, perché un maestro doveva presentarsi bene. Entro, parlo con gli alunni e dopo mezz´ora arriva l´attimo di panico. "E adesso cosa faccio?". Avevo il diploma delle magistrali, stavo terminando la laurea in pedagogia (ho finito dopo un paio di anni) ma nessuno mi aveva insegnato a insegnare. Per fortuna avevo ricevuto buoni consigli da mia madre, maestra anche lei, come mio padre. "Bambini, ho detto, adesso facciamo un bel tema". E così ho superato il panico e ho cominciato la mia carriera. L´anno prima avevo fatto il doposcuola in un altro paese, a Navate. Una pluriclasse dalla prima alla quinta, li aiutavo a fare i compiti. Prendevo la corriera, 14.000 lire di abbonamento al mese e mi davano un compenso di 12.000 lire. Ma serviva a fare punti per il concorso a ruolo».
Una famiglia di maestri, con una differenza. «Mio padre Severino, che ha 86 anni, era per tutti il Signor Maestro e viene chiamato ancora così. Mia madre Maria è la Signora Maestra. Io sono il maestro e basta, e tanti ragazzi da qualche anno mi chiamano solo per nome, Renato. Adesso che i presidi si chiamano dirigenti anche noi siamo chiamati professori. Io invece ci tengo, ad essere chiamato maestro. È un mestiere difficile, oggi anche ingrato, ma secondo me educare i bambini, vederli crescere e diventare curiosi, è la cosa più bella del mondo».
I primi anni nei paesi di campagna, dove le autorità erano il sindaco, il maresciallo, il parroco, il farmacista… «C´era anche il maestro, fra queste autorità. Ma per noi insegnanti c´era il prestigio, non il potere. Ti guardavano con rispetto perché trasmettevi il sapere. In fondo, nei primi anni, tutto era più semplice. Insegnavi l´italiano e la matematica, la storia e la geografia. I figli dei contadini imparavano a leggere e scrivere, poi andavano a lavorare in campagna. Le cose hanno cominciato a cambiare nelle scuole dove la maggioranza dei bambini erano figli di operai che lavoravano alla Om della Fiat e o nelle acciaierie Sant´Eustachio, Montini, Idra… Per i loro figli volevano un futuro diverso, non in fonderia. Cercavano nella scuola il riscatto sociale. Alcuni di noi - più di trent´anni fa giovani maestri - ci siamo messi a discutere e a confrontarci su come rispondere a questa richiesta. Prima di allora ognuno era "padrone" della propria classe, una volta fatto il giuramento davanti al direttore. Padrone anche di sbagliare. Mi sono trovato a fare una supplenza negli ultimi tre mesi di una classe quinta. Alla fine non ho fatto altro che sommare i voti, fare la media, e così quattro alunni risultavano insufficienti e bocciati. La direttrice mi ha chiamato e mi ha detto: "Lo sai che se non li mandi alle medie questi quattro vanno subito a lavorare?". Ho riscritto i giudizi, non ho bocciato nessuno. Racconto questo perché oggi si rivuole il maestro unico. Io lo sono stato per più di vent´anni. Ho fatto errori provocati dal trovarmi, io ragazzino, all´improvviso padrone del destino degli altri. Sono cresciuto e sono soddisfatto dei miei anni di scuola. Se alla fine dell´anno vedi che i tre o quattro bambini che avevano difficoltà sono alla pari degli altri, puoi dire di avere lavorato bene. Ma il maestro che lavora da solo oggi non è più in grado di insegnare a bambini che non sono più quelli di un tempo. Fra i venti alunni che entrano in prima - l´ho scoperto nella riunione con i genitori - più della metà già usano il computer. Tre o quattro - li ho visti al primo incontro - già avevano il telefonino in mano. La società oggi vive troppo in fretta, i genitori vivono nell´ansia e la trasmettono ai figli. "Allora, a Natale sapranno già leggere e scrivere?". "Quando comincia l´inglese?". A questa complessità non puoi rispondere con il maestro unico. Ma anche l´organizzazione attuale non va bene: per 60 bambini di prima, in tre classi, ci sono sette maestri, e si programma tutto: non si decide cosa fare quella mattina, ma in quella mezz´ora e nella mezz´ora che segue. I bambini non sono computer».
Mille ricordi, in una vita da Maestro. «Ai maestri maschi non si dava la prima classe. Ci voleva la maestra-mamma. Io con i piccoli ho cominciato a Ronco di Gusseno, 12 bambini in tutto e li ho portati in quinta. Forse sono stati i miei anni più belli. Ho fatto fare un tema contro la caccia e il giorno dopo è arrivato il parroco (in paese c´era più confidenza con il prete che con il maestro) che mi dice: "È meglio non affrontare certi temi". I papà erano tutti cacciatori. Ho dato un tema sulla produzione della grappa e tutti hanno scritto: "Non sappiamo cosa sia, questa grappa". Il solito parroco mi ha spiegato che in tutte le cascine c´erano le distillerie nascoste. Ma poi ci siamo capiti. A fine anno ho ricevuto in regalo alcune bottiglie di grappa, di quella fatta in casa. E anche una cintura in similpelle, l´unico regalo di una carriera. I tempi erano già cambiati. A mia madre avevano regalato una bicicletta, una collana preziosa… Ma io quella cintura l´ho sempre portata con orgoglio».
Maestro da 35 anni, stipendio di 1700 euro al mese. «Ma solo perché ho gli assegni familiari per due figlie. L´altra settimana è arrivato a casa mia Vincenzo, un mio ex alunno. Mi ha piastrellato un pezzo di bagno. Cinquanta euro di materiale, 700 di manodopera. Un giorno di lavoro. "Lo sai che io, per guadagnare tanto, ci metto due settimane?". Gino che ripara le caldaie mi ha preso 120 euro per mezz´ora di lavoro. Come insegnanti si vive vicino alla soglia di povertà. Da due anni dovrei cambiare la cucina e i soldi non ci sono. La casa a schiera me la sono comprata con un mutuo da 900.000 lire al mese quando lo stipendio era di un milione e tre. Per fortuna, fra maestri e professori, abbiamo reinventato il mutuo soccorso. I vestiti passano dalla figlia di uno alla figlia dell´altro, la bici pure, l´auto si compra usata… Soprattutto da queste parti, se non hai soldi, non vali niente. I nuovi maestri prendono 1.100 euro al mese e qui a Roncadelle ne chiedono 600 per un bilocale. E come una ciliegina arrivano le accuse dei ministri che ci trattano come fannulloni al quadrato: perché siamo dipendenti pubblici e perché siamo insegnanti, tanto inutili che se ne possono lasciare a casa a decine di migliaia…».
I lamenti si fermano presto. «Io mi chiedo: se non ci fosse la scuola, che ne sarebbe di questi bambini? Già il primo giorno di scuola insegniamo loro ad alzare la manina, prima di parlare. Solo così possono farsi ascoltare dagli altri. Nessuno ascolta i bambini di oggi. Già alle elementari - abbiamo fatto un´inchiesta - stanno tre o quattro ore al giorno davanti alla tv e a cena si mettono l´iPod all´orecchio perché tanto i genitori che lavorano tutto il giorno hanno solo quella mezz´ora per parlare dei fatti loro. Almeno in classe il bambino deve trovare la serenità e la possibilità di confrontarsi con gli altri. Ma tutto diventa più difficile. Abbiamo dovuto mettere cancelli e telecamere, perché alcune maestre sono state aggredite e picchiate da qualche genitore. La causa? Una nota sul diario. Il prestigio del maestro, per tanti genitori, è archeologia. Del resto - ragionano - uno pagato come il senegalese che lavora in acciaieria deve davvero valere poco. I cancelli servono anche a impedire i "furti" dei bambini, da parte di genitori separati che vogliono portare a casa il figlio affidato all´altro coniuge. Ma in tutto questo marasma, io sono convinto di fare un lavoro utile. I ragazzi, dopo la quinta, passano l´età della stupidera e nemmeno ti salutano. Ma poi, più grandi, vengono a trovarti per raccontare i loro problemi o i loro successi. Ti mettono in imbarazzo perché chiedono: "Si ricorda di me?". E sono spilungoni di due metri. I professori delle medie, dicono, si possono dimenticare. Il maestro no. Le soddisfazioni non servono a comprare l´auto nuova, ma fanno bene al cuore».
Una figlia di 12 anni alle medie, l´altra di 16 alle superiori. «Proprio la più grande, che mi ha sempre detto: "Papà, perché non hai fatto l´idraulico, che saremmo ricchi", si è iscritta al liceo psicopedagogico, le vecchie magistrali». Renato Facchetti dice a tutti che la figlia sbaglia e lui non è contento perché i maestri non hanno futuro. Ma basta guardarlo in faccia per capire che anche i maestri dicono le bugie.

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"Erano severi e malinconici pensavo fossero immortali"

MARCO LODOLI

L a scuola elementare Ugo Bartolomei di via Asmara a Roma, tra il 1962 e il 1967, una vita fa: e infatti quando provo a resuscitare nella memoria quel tempo trovo pochi frammenti che fatico a collegare. Ma la maestra Greco, prima e seconda, e il maestro Castelli, dalla terza alla quinta, me li ricordo bene, sono le prime persone che mi hanno insegnato a non piangere (non so perché, ma avevo la lacrima facilissima, tutto mi turbava), a tenere in ordine le mie cose, ad ascoltare, a fare fino in fondo il mio dovere. Era un mondo silenzioso, completamente diverso da quello dei bambini di oggi, smaniosi e strepitanti. La maestra Greco dettava e io scrivevo, cercando di non commettere il minimo errore perché non dovevo deluderla. Il maestro Castelli spiegava a lungo la matematica, e io stavo attento, incolonnavo, risolvevo tutti i problemi. Mi chiamavano Lodoli, erano severi, esigenti, malinconici: sapevano ogni cosa, tutti i fiumi d´Italia, tutte le capitali, tutta la storia romana, e io pensavo che fossero immortali.

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"Lei mi ha trasmesso l´amore per la lettura"

MARGHERITA OGGERO

Era esigente severa preparatissima. Le eravamo affezionate, su un sottofondo di rispetto e timore dei voti e giudizi. Quando pensavamo o parlavamo di lei, la emme di maestra era sempre in stampatello maiuscolo. Quello che mi ha insegnato Renata Rinetti non l´ho più dimenticato: grammatica, aritmetica di base, monti fiumi laghi, re di Roma, giù giù sino a C. Battisti e alla vittoria mutilata. Le sono debitrice di una passione e di un incubo. La passione per la lettura: se eravamo state quiete e attente, estraeva dalla borsa un libro e ce ne leggeva una quindicina di pagine Il primo fu una riduzione de I miserabili, e in classe si sarebbe sentita volare una mosca. L´incubo riguarda il Giudizio Universale, quando Iddio mi accuserà di aver taroccato il risultato di una divisione, nonostante il divieto. Ma qualche incubo fortifica lo spirito.

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"Con le tirate d´orecchie insegnava la pazienza"

MAURO CORONA

Il mio maestro era un bravo e severo maestro, di quelli di una volta. Nato nel 1914, si chiamava Osvaldo Martinelli Fozza. Mi ha guidato per quattro anni, dalla quarta all´ottava classe. A quei tempi si faceva fin o all´ottava, e lui, che era di Erto, voleva seguire i canajs (ragazzi) il più possibile. Era severo, esigente e giusto. A scuola non ammetteva pagliacciate né sbadigli né casini. Se c´erano usava la bacchetta o tirava le orecchie, senza parlare. Con lui, né vandalismi né bidelli, faceva tenere l´aula pulita come un tagliere da polenta. Devo molto a Osvaldo Fozza. Più che leggere, scrivere, che quello lo insegnano tutti, mi faceva imparare la pazienza, la costanza, la tenacia, la forza morale, la precisione, la brevità dove serviva, la fiducia in me stesso. Prima che da Calvino, ho appreso da lui alcune "lezioni americane". Di pari passo esigeva il lavoro manuale. Ci faceva far scultura, intarsio, argilla, cesti, gerle e mosaico. Diceva, e aveva visto lontano, che non si deve perdere l´uso delle mani. Prima di tutte ste robe, la mattina un´ora di ginnastica all´aperto, nel cortile, tutti i giorni, anche d´inverno con la neve. Non c´era uno in sovrappeso tra di noi. Scriveva poesie, spesso premiate, in dialetto e in italiano. Ha fatto un libro-documento molto importante: Il mio Vajont. Di lui son rimaste molte cose belle. A me un grato ricordo.

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"La Vanda che con i libri placò le mie ire infantili"

SIMONA VINCI

Quello della prima elementare fu il mio annus horribilis. Cominciò un giorno di settembre che pareva felice e si rivelò subito per quel che era, un inferno: unica di tutta la classe a saper già leggere e scrivere, venni scaraventata dal primo all´ultimo banco perché la prima fila affacciata alla lavagna serviva ad altri più che a me. Ferita, mi vendicai stringendo un´alleanza d´acciaio con due teppisti in erba insieme ai quali per tutto l´anno tiranneggiai gli altri compagni e sfogai l´ira prendendo a calci, quando potevo, la malcapitata che aveva osato umiliarmi con l´ultima fila. La maestra in questione era un´obesa con un parruccone cotonato al posto dei capelli e un espressione bovina che costringeva a darsi i pizzichi sulle braccia per non cadere addormentati sul banco. Un anno orribile, e interminabile, in cui fui bollata come caratteriale e bisognosa di urgenti cure psicologiche, ma che grazie al cielo finì. Il primo giorno della seconda elementare, il sipario si spalancò su un miracolo: in cattedra, al posto dell´obesa c´era una visione angelica. Si chiamava Vanda Salmi, aveva gli occhi celesti e i capelli rosso tiziano, e si rivelò subito ironica e saggia. Capace di sedare ogni lite e tirar fuori il meglio anche dalle teste di coccio. Fu la mia salvezza. E quella di tanti altri bambini. Sfruttò la mia passione per la lettura insegnandomi a indirizzare le mie ire così: leggendo e scrivendo. Se non avessi incontrato "la Vanda", amante dell´opera lirica, avida lettrice, viaggiatrice, maestra felice di essere maestra, non so come sarei finita, date le premesse di quel primo orribile anno.

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