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Repubblica: Il Paese delle leghe e la nazione impossibile

Esiste l´Italia? E, soprattutto, è una nazione? È una questione vecchia quanto l´Italia. Tornata attuale all´avvicinarsi del 2011, anniversario dei 150 anni dell´Unità d´Italia

26/07/2009
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la Repubblica

Ilvo Diamanti

Esiste l´Italia? E, soprattutto, è una nazione? È una questione vecchia quanto l´Italia. Tornata attuale all´avvicinarsi del 2011, anniversario dei 150 anni dell´Unità d´Italia. Carlo Azeglio Ciampi, non a caso, ha minacciato di lasciare il Comitato per le celebrazioni, "se non cambia nulla". Se, cioè, non viene colmato - o almeno nascosto - il "vuoto di idee" in merito, denunciato da Ernesto Galli della Loggia.
Ciampi, d´altronde, aveva restituito dignità al 2 giugno, festa della Repubblica. Ha valorizzato un´idea dell´Italia come "nazione di città e di regioni". Dove la molteplicità e le differenze sono un elemento di unità. Un distintivo. Il che significava dare cittadinanza anche alla Lega e alle sue rivendicazioni "riformiste". Anzitutto il federalismo. Nel corso della prima metà degli anni Novanta, d´altronde, la minaccia della secessione del Nord, lanciata dalla Lega, aveva reso esplicita la questione: che succede "se cessiamo di essere una nazione?" (titolo di un noto saggio Gian Enrico Rusconi del 1993). Favorendo, per reazione, un ritorno prepotente dell´identità nazionale (certificata da numerosi sondaggi).
Oltre 15 anni dopo, la questione riappare. Molto meno lacerante, però. E per questo più preoccupante. La nazione. Fondata su un comune nucleo civico. Un´identità condivisa. Non suscita grande passione. Semmai, vi sono segnali che vanno in senso diverso e divergente.
Anzitutto, gli orientamenti dei cittadini in questo senso, si sono raffreddati sensibilmente. All´inizio del 2000 (indagine LaPolis-liMes), l´Italia costituiva uno dei due principali riferimenti dell´appartenenza territoriale per il 42% delle persone. Alla fine del 2008 per il 35%. Oltre 8 punti in meno. Nello stesso periodo, però, si è ridimensionato anche l´attaccamento per le città (dal 41 al 26 %) e le regioni (dal 34 al 23%).
Mentre è cresciuta, soprattutto, l´identificazione nelle macroregioni. In particolare, nel Nord. Era espressa dal 9% dei cittadini nel 2000, oggi dal 14%. Che però sale al 26% fra i cittadini del Nord "padano" (senza l´Emilia Romagna). In altri termini, l´Italia non riesce più a tenere insieme i diversi pezzi di questo paese. Dove, anzi, si riaprono le fratture antiche. Prima fra tutte: fra Nord e Sud.
Negli ultimi 3 anni, infatti, la quota degli italiani che esprime "distacco" nei confronti del Nord o del Sud sale, infatti, dal 20 al 31% (indagini LaPolis-liMes). Segno di un reciproco risentimento, che cresce vistosamente. Oggi il 26% di coloro che risiedono nel Nord "padano" e il 20% di chi abita nelle regione "rosse" (oggi "rosa") dichiara la propria "distanza" dal Mezzogiorno. Viceversa, il 29% dei cittadini del Mezzogiorno si dice lontano dal Nord.
Ancora: oltre un terzo dei cittadini del Nord (più del 40% nel Nord-Est) ma anche delle regioni «rosse» del Centro ritiene che il Mezzogiorno sia «un peso per lo sviluppo del paese».
La divisione fra Nord e Sud, mai risolta, oggi appare una frattura. Resa più drammatica dalla crisi economica e finanziaria, che alimenta il conflitto fra interessi territoriali. Divenuti, a loro volta, argomento di consenso e antagonismo politico. I partiti della prima Repubblica erano anch´essi federazioni di interessi e di comitati territoriali. La DC ma anche il PCI. Tuttavia le differenze e le domande locali erano integrate e mediate all´interno del partito su base nazionale.
Oggi, invece, le forze politiche usano sempre più spesso il riferimento territoriale come un´arma di lotta politica. Nel Nord, ovviamente, la Lega. Ma anche i governatori del PdL. Nel Sud, l´MpA guidato da Raffaele Lombardo, in nome degli interessi della Sicilia ha rotto l´alleanza con il PdL. Mentre Bassolino propone apertamente un nuovo "movimento del Sud". E altri governatori di Centrosinistra, come il presidente della Puglia, Nichi Vendola, polemizzano apertamente con il governo "nordista", guidato dall´asse padano Bossi-Tremonti.
D´altra parte, il risultato del PdL e Berlusconi, a livello nazionale, come si è visto alle recenti elezioni europee, dipende sempre più dalle alleanze "territoriali". Al Nord con la Lega, al Sud con MpA e con altre liste. Mentre il Pd continua ad essere confinato nelle regioni rosse. Quasi una "Lega del Centro", come ebbe a dire anni fa Marc Lazar. E per questo fatica a imporsi.
Da ciò la differenza profonda, rispetto agli anni Novanta. Allora le tensioni territoriali erano agitate dalla Lega nel Nord. Un soggetto politicamente periferico. Oggi, invece, la Lega governa ed è in grande ascesa. Mentre al Sud crescono altre leghe. Così l´Italia rischia di venire lacerata dalle crescenti tensioni fra nordisti e sudisti. Mentre la pluralità delle "patrie locali", su cui puntava Ciampi, non riesce più ad alimentare senso di appartenenza. Le città, le province e le regioni stentano a offrire identità ai cittadini. Oppure lo fanno alimentando le spinte localiste e anticentraliste. Tutti contro tutti. Ciascuno per proprio conto. Le province, dal 1980, quando se ne propose l´abolizione, sono aumentate da circa 90 a 110. Mentre sono centinaia i comuni che vorrebbero a scavalcare i confini regionali. Aggregandosi alle regioni più ricche e favorite dallo stato (perlopiù, le Regioni a statuto speciale).
Per questo, celebrare l´Unità della Nazione oggi è un´impresa difficile, se non impossibile. Perché non ci sentiamo uniti. E neppure una nazione. D´altronde, il carattere specifico degli italiani, secondo gli italiani stessi, è definito anzitutto dall´arte di arrangiarsi e dall´attaccamento alla famiglia. Un popolo di persone ingegnose e familiste. Capaci di inventare e di adattarsi alle difficoltà. Ciascuno per conto proprio. Si ricordano di avere un Casa Comune solo quando si tratta di chiudere le porte. Agli stranieri. Alzando - ovunque - muri per difenderci da loro. Dovremmo, semmai, difenderci da noi stessi. In questo mondo sempre più grande e aperto. L´Europa, sempre più debole. Senza un senso di appartenenza comune. Siamo destinati a perderci. A divenire marginali. Più ancora di oggi.
La Nazione. Forse non c´è. Comunque, l´abbiamo rimossa. Ma la dovremmo (ri)costruire. Per legittima difesa.

Ciampi, d´altronde, aveva restituito dignità al 2 giugno, festa della Repubblica. Ha valorizzato un´idea dell´Italia come "nazione di città e di regioni". Dove la molteplicità e le differenze sono un elemento di unità. Un distintivo. Il che significava dare cittadinanza anche alla Lega e alle sue rivendicazioni "riformiste". Anzitutto il federalismo. Nel corso della prima metà degli anni Novanta, d´altronde, la minaccia della secessione del Nord, lanciata dalla Lega, aveva reso esplicita la questione: che succede "se cessiamo di essere una nazione?" (titolo di un noto saggio Gian Enrico Rusconi del 1993). Favorendo, per reazione, un ritorno prepotente dell´identità nazionale (certificata da numerosi sondaggi).
Oltre 15 anni dopo, la questione riappare. Molto meno lacerante, però. E per questo più preoccupante. La nazione. Fondata su un comune nucleo civico. Un´identità condivisa. Non suscita grande passione. Semmai, vi sono segnali che vanno in senso diverso e divergente.
Anzitutto, gli orientamenti dei cittadini in questo senso, si sono raffreddati sensibilmente. All´inizio del 2000 (indagine LaPolis-liMes), l´Italia costituiva uno dei due principali riferimenti dell´appartenenza territoriale per il 42% delle persone. Alla fine del 2008 per il 35%. Oltre 8 punti in meno. Nello stesso periodo, però, si è ridimensionato anche l´attaccamento per le città (dal 41 al 26 %) e le regioni (dal 34 al 23%).
Mentre è cresciuta, soprattutto, l´identificazione nelle macroregioni. In particolare, nel Nord. Era espressa dal 9% dei cittadini nel 2000, oggi dal 14%. Che però sale al 26% fra i cittadini del Nord "padano" (senza l´Emilia Romagna). In altri termini, l´Italia non riesce più a tenere insieme i diversi pezzi di questo paese. Dove, anzi, si riaprono le fratture antiche. Prima fra tutte: fra Nord e Sud.
Negli ultimi 3 anni, infatti, la quota degli italiani che esprime "distacco" nei confronti del Nord o del Sud sale, infatti, dal 20 al 31% (indagini LaPolis-liMes). Segno di un reciproco risentimento, che cresce vistosamente. Oggi il 26% di coloro che risiedono nel Nord "padano" e il 20% di chi abita nelle regione "rosse" (oggi "rosa") dichiara la propria "distanza" dal Mezzogiorno. Viceversa, il 29% dei cittadini del Mezzogiorno si dice lontano dal Nord.
Ancora: oltre un terzo dei cittadini del Nord (più del 40% nel Nord-Est) ma anche delle regioni «rosse» del Centro ritiene che il Mezzogiorno sia «un peso per lo sviluppo del paese».
La divisione fra Nord e Sud, mai risolta, oggi appare una frattura. Resa più drammatica dalla crisi economica e finanziaria, che alimenta il conflitto fra interessi territoriali. Divenuti, a loro volta, argomento di consenso e antagonismo politico. I partiti della prima Repubblica erano anch´essi federazioni di interessi e di comitati territoriali. La DC ma anche il PCI. Tuttavia le differenze e le domande locali erano integrate e mediate all´interno del partito su base nazionale.
Oggi, invece, le forze politiche usano sempre più spesso il riferimento territoriale come un´arma di lotta politica. Nel Nord, ovviamente, la Lega. Ma anche i governatori del PdL. Nel Sud, l´MpA guidato da Raffaele Lombardo, in nome degli interessi della Sicilia ha rotto l´alleanza con il PdL. Mentre Bassolino propone apertamente un nuovo "movimento del Sud". E altri governatori di Centrosinistra, come il presidente della Puglia, Nichi Vendola, polemizzano apertamente con il governo "nordista", guidato dall´asse padano Bossi-Tremonti.
D´altra parte, il risultato del PdL e Berlusconi, a livello nazionale, come si è visto alle recenti elezioni europee, dipende sempre più dalle alleanze "territoriali". Al Nord con la Lega, al Sud con MpA e con altre liste. Mentre il Pd continua ad essere confinato nelle regioni rosse. Quasi una "Lega del Centro", come ebbe a dire anni fa Marc Lazar. E per questo fatica a imporsi.
Da ciò la differenza profonda, rispetto agli anni Novanta. Allora le tensioni territoriali erano agitate dalla Lega nel Nord. Un soggetto politicamente periferico. Oggi, invece, la Lega governa ed è in grande ascesa. Mentre al Sud crescono altre leghe. Così l´Italia rischia di venire lacerata dalle crescenti tensioni fra nordisti e sudisti. Mentre la pluralità delle "patrie locali", su cui puntava Ciampi, non riesce più ad alimentare senso di appartenenza. Le città, le province e le regioni stentano a offrire identità ai cittadini. Oppure lo fanno alimentando le spinte localiste e anticentraliste. Tutti contro tutti. Ciascuno per proprio conto. Le province, dal 1980, quando se ne propose l´abolizione, sono aumentate da circa 90 a 110. Mentre sono centinaia i comuni che vorrebbero a scavalcare i confini regionali. Aggregandosi alle regioni più ricche e favorite dallo stato (perlopiù, le Regioni a statuto speciale).
Per questo, celebrare l´Unità della Nazione oggi è un´impresa difficile, se non impossibile. Perché non ci sentiamo uniti. E neppure una nazione. D´altronde, il carattere specifico degli italiani, secondo gli italiani stessi, è definito anzitutto dall´arte di arrangiarsi e dall´attaccamento alla famiglia. Un popolo di persone ingegnose e familiste. Capaci di inventare e di adattarsi alle difficoltà. Ciascuno per conto proprio. Si ricordano di avere un Casa Comune solo quando si tratta di chiudere le porte. Agli stranieri. Alzando - ovunque - muri per difenderci da loro. Dovremmo, semmai, difenderci da noi stessi. In questo mondo sempre più grande e aperto. L´Europa, sempre più debole. Senza un senso di appartenenza comune. Siamo destinati a perderci. A divenire marginali. Più ancora di oggi.
La Nazione. Forse non c´è. Comunque, l´abbiamo rimossa. Ma la dovremmo (ri)costruire. Per legittima difesa.