Repubblica: Io prof precaria vi racconto il mio triste autunno
Diana, 41 anni, insegnante senza cattedra da nove Come lei, oltre centomila docenti in tutta Italia attendono una telefonata: quella dell´assegnazione del posto. Se non sarà annuale, inizierà un inferno di sostituzioni di pochi giorni
Diana, 41 anni, insegnante senza cattedra da nove Come lei, oltre centomila docenti in tutta Italia attendono una telefonata: quella dell´assegnazione del posto. Se non sarà annuale, inizierà un inferno di sostituzioni di pochi giorni. Per loro ogni volta la ripresa della scuola è una specie di esame. Ora, con i tagli, è diventata una lotteria
"Aspetto che esca il mio numero: mi farà uscire da questa maledetta terza fascia"
PAOLO GRISERI
Per età anagrafica e anzianità di servizio, Diana rappresenta la precaria media, una specie di casalinga di Voghera dei docenti italiani. La sua vita come quella degli oltre centomila insegnanti senza contratto (131 mila abilitati e almeno 40 mila senza abilitazione, calcola la Cgil scuola), è un vortice di sigle, decreti, ricorsi. Un grande gioco drammaticamente reale in cui si corre tutti intorno alle cattedre e, a un segnale convenuto, si capisce chi riuscirà a sedersi e chi invece rimarrà in piedi ad attendere il prossimo giro. «Io, ad esempio, aspetto lo 028». Lo attende dal 2000 ma il numero magico del corso abilitante non esce mai. «L´anno scorso ho sperato fino all´ultimo ma sono rimasta delusa». Lo dice come parlasse del jackpot del Superenalotto.
Lo 028 è il numero della sua materia. Diana insegna Arte in una scuola media di Settimo, interland di Torino. Se lo scorso anno fosse uscito il suo numero, avrebbe potuto partecipare ai corsi e ottenere l´abilitazione. «Così sarei salita di un gradino nel sistema dei gironi. Sarei rimasta precaria ma con maggiori possibilità di ottenere la supplenza annuale». Invece nulla. «Anzi ora si dice che la Gelmini voglia abolire i corsi abilitanti. Rischio di rimanere in terza fascia per sempre». Ad attendere, ogni settembre, la chiamata di un preside della sua zona e a protestare di fronte agli uffici scolastici per chiedere la stabilizzazione.
Non erano queste le speranze della giovane Diana, appena uscita dall´Accademia delle Belle Arti di Torino. «Era il 1994. Pensavo di guadagnarmi il pane restaurando affreschi nelle chiese. Quella vita l´ho fatta per qualche anno, poi ho capito che non avrei potuto proseguire a lungo lavorando dieci ore al giorno in cima alle impalcature». La fatica di Michelangelo, anche se a lei toccava solo ripassare gli affreschi fatti da altri. «Ma, come nella Sistina, l´umidità era insopportabile». Così, nel 2000, la professoressa Diana si presenta alla classe I E della scuola media "Guerrino Nicoli". «Non erano allievi molto tranquilli. Di quella mattina ricordo la difficoltà a catturare l´attenzione: qualcuno correva, altri si nascondevano sotto i banchi del laboratorio. Ho aperto la valigia delle tempere cominciando a distribuire i colori. Per magia si è creato l´ordine». Un´esperienza durata quaranta giorni. «Il tempo di imparare a capire il linguaggio di quei ragazzi, di entrare in sintonia con loro che ragionano molto più in fretta di noi, abituati come sono ai ritmi dei computer. Il tempo di imparare a tenere sempre viva l´attenzione perché hanno bisogno di stimoli in continuazione, si annoiano in fretta. Per il mio collega invece quei quaranta giorni furono il tempo della convalescenza: si era fratturato una gamba in un incidente stradale».
Per Diana è iniziato in quel mese e mezzo dell´autunno del 2000 il grande gioco delle cattedre. «Le regole erano chiare: ogni 15 giorni di insegnamento guadagnavo un punto, dopo sei mesi consecutivi raggiungevo quota 12 e da quel momento il punteggio non saliva più fino alla fine dell´anno». All´inizio le supplenze erano abbastanza diradate nel tempo: «Avevo pochi punti, ero in fondo alla graduatoria, rimanevo a casa molte settimane». E dunque non guadagnava: «Mi arrangiavo con i restauri. Mi rammarico ancora adesso se penso che, un anno, ho deciso di non partecipare a un corso per l´abilitazione perché stavo dipingendo la Venere di Botticelli in una ricca casa del centro di Torino».
La dea che esce dalla conchiglia ha cacciato Diana in un mare di guai. «Ho saltato quell´appuntamento e per un soffio ho dovuto rinunciare anche al corso abilitante del 2004. Quella sì che era un´occasione d´oro». Il corso, grazie a un decreto del ministro dell´epoca, era riservato a coloro che avessero accumulato almeno 365 giorni di insegnamento: «io ero a 296. I 365 li avrei raggiunti l´anno successivo. Troppo tardi». Nel frattempo le supplenze aumentavano di frequenza e il punteggio saliva. Sembrava che prima o poi quei punti avrebbero consentito di fare il grande salto. Ora però il gruzzolo accumulato rischia di diventare inutile. «Fino allo scorso anno si poteva sperare nei corsi abilitanti. Non erano gratis, costavano migliaia di euro. Quello della mia materia, il famoso 028, non è uscito ma qualche collega delle altre discipline ce l´ha fatta. Ma se, come pare, anche quei corsi verranno aboliti dalla riforma Gelimini, sarà inutile aver accumulato 900 giorni di insegnamento. Qualcuno di noi della Cub Scuola ha pensato di fare ricorso al Tar». Se anche quel ricorso andrà male, a Diana non rimarrà che giocare in serie C: «In terza fascia ho ormai conquistato la vetta della graduatoria. Oggi ho 85 punti e nelle scuole della zona sono abbastanza in alto». Ma non sicura. «Quest´anno nessuno è sicuro. Noi della terza fascia veniamo chiamati direttamente dai presidi. Quelli della seconda fascia che hanno l´abilitazione possono scegliere le supplenze annuali stabilite dalle graduatorie a livello provinciale ma qualcuno si accontenta anche di periodi di insegnamento più brevi messi in palio direttamente dalle scuole. E li toglie a noi».
Una guerra tra poveri. Lo stipendio di Diana è di 1.260 euro al mese. «Quando va bene, come negli ultimi due anni, riesco a lavorare da settembre a giugno. E a ottenere 1.200 euro in tutto come sussidio di disoccupazione per i mesi di luglio e agosto». Ma quando va male i 1.260 euro si frantumano in frazioni di mensilità, diventano sempre più irrilevanti nel bilancio familiare: «Riesco a tirare avanti perché mio marito fa il restauratore». Non sono solo le questioni economiche a farla arrabbiare: «Quest´anno ho un motivo in più per sperare che arrivi quella telefonata».
Diana ne parla con pudore: il "motivo in più" porta i nomi di Francesca e Leonardo. «Hanno 13 anni, da due sono loro il mio lavoro, come insegnante di sostegno. Tutte le mattine devo cercare di farli sentire una parte della classe anche se hanno più difficoltà degli altri. Sono io che in quelle ore faccio un po´ da mamma: preparo delle lezioni che si avvicinino, in modo semplificato, agli argomenti che i miei colleghi affrontano con il resto della classe. Sono io che cerco di proporre dei compiti e delle verifiche che siano all´altezza delle loro capacità. La fortuna ha voluto che Francesca e Leonardo fossero nella stessa classe e che io non dovessi dividere tra loro due le mie 18 ore settimanali. La stessa fortuna ha anche voluto che potessi seguirli in prima e in seconda media. Chissà se quest´anno riuscirò ancora ad occuparmi di loro».