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Repubblica: L´università sotto esame

Il problema non è quello di dimostrare che il "3+2" ha fallito o ha avuto successo sulla base di opposte fazioni ideologiche, ma di fornire il quadro concreto dei risultati prodotti per intervenire su ciò che non ha funzionato

10/07/2007
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la Repubblica

ANDREA CAMMELLI

Caro direttore, Omnia in mensura, et numero, et pondere, diceva Lavoisier riadattando il pensiero biblico. La mistica del numero non mi appartiene, ma pure dai numeri occorre partire nel giudicare la riforma universitaria. Il problema non è quello di dimostrare che il "3+2" ha fallito o ha avuto successo sulla base di opposte fazioni ideologiche, ma di fornire il quadro concreto dei risultati prodotti per intervenire su ciò che non ha funzionato. Perché di questo si tratta: può piacere o meno, ma indietro non si torna. Siamo inseriti in un contesto di alta formazione a livello europeo. E lì dobbiamo rimanere, nell´interesse dei giovani chiamati a muoversi in un mercato e in un mondo senza confini.
Cosa è cambiato, dunque, dal 2001, anno di avvio della riforma, ad oggi rispetto al vecchio ordinamento? Fra i quasi 70mila laureati di primo livello del 2006 che hanno iniziato e terminato gli studi nell´università riformata (la documentazione completa è sul sito www.almalaurea.it), l´età alla laurea non supera i 24,2 anni; siamo ben lontani dai 28 anni dei laureati pre-riforma! Gli studenti in corso sono quasi la metà contro il 10 per cento dei fratelli maggiori che li hanno preceduti. La frequenza alle lezioni si è dilatata consistentemente ovunque. Le esperienze di tirocinio e stage, quasi inesistenti prima, coinvolgono 58 laureati su cento. E chi fa stage ha chance maggiori di trovare lavoro (il tasso di occupazione è superiore di 10 punti). Andiamo, infine, a vedere cosa pensano gli studenti dei corsi riformati. Complessivamente sono più soddisfatti. Tra i laureati pre e post riforma il gradimento sui corsi aumenta in modo particolare nei gruppi chimico farmaceutico, agrario, economico-statistico, giuridico e sostanzialmente non cambia nei gruppi ingegneristico, politico-sociale, psicologico; negli stessi gruppi, con l´aggiunta del geo-biologico, cresce la soddisfazione rispetto ai docenti. Il giudizio peggiora invece tra gli umanisti - e non a caso - più severi anche nel giudicare il rapporto con i docenti tranne che a Beni culturali e a Scienze della comunicazione. Si iscriverebbero, infine, allo stesso corso e Ateneo 69 laureati post-riforma contro 66 pre-riforma su cento. Tra chi conferma la scelta degli studi in misura maggiore rispetto ai laureati del vecchio ordinamento troviamo anche i laureati in Lettere, Lingue, Beni culturali e Scienze della comunicazione.
Assieme alla contrazione delle esperienze di studio all´estero, il vero punto critico, sul quale riflettere senza pudori e senza tentennamenti, sta nell´ampiezza della domanda di ulteriore formazione che si indirizza alla laurea specialistica e che coinvolge 71 laureati su cento. Qui sono chiamati in causa l´università, il mondo del lavoro pubblico e privato, gli stessi ordini professionali, la politica.
Che questa riforma sia partita in fretta e zoppa, perché a costo zero è vero. Ma è anche vero che tanta parte dell´università è migliore di come viene rappresentata ultimamente. Inutile gridare alla Bartali che è "tutto sbagliato, tutto da rifare". Iniziamo piuttosto da un esame di coscienza. Forzati a ridisegnare l´architettura dei corsi abbiamo ceduto: avanti tutti con le triennali, abbassiamo pure la qualità, spezzettando e iper-specializzando il sapere pur di preservare, meglio moltiplicare, corsi e quindi posti. Tanto poi la vera formazione ce la giochiamo nelle specialistiche, lì imponiamo la vera selezione, tasse più alte, cattedre che contano: l´università d´élite. Non tutti hanno seguito questa strada, tanti bravi colleghi lottano quotidianamente per opporsi ad una riforma applicata male. E sono la maggioranza silente. Quella che oggi nelle commissioni didattiche sta lavorando per correggere il tiro a partire dal "pacchetto serietà" di Mussi. Se restituiamo dignità ai percorsi brevi e diamo pari opportunità per l´accesso alle specialistiche, con una politica di valorizzazione dei cervelli migliori, allora avremo reso il servizio che i giovani meritano. Nel nome di un´università pubblica, democratica, per il merito. Galileo spronava a fare un´operazione semplice: "Io stimo più il trovare un vero, benché di cosa leggiera, ch´l disputar lungamente delle massime questioni senza conseguir verità nessuna». E questa cosa "leggiera" non è.

L´autore insegna statistica all´Università
di Bologna ed è direttore di Almalaurea