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Repubblica-La Caporetto dei conti pubblici tra immaginazione e realtà

La Caporetto dei conti pubblici tra immaginazione e realtà MASSIMO RIVA DA QUANDO i conti pubblici sono passati in mano al duo Berlusconi-Tremonti la situazione è diventata decisamente più gr...

07/08/2002
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la Repubblica

La Caporetto dei conti pubblici tra immaginazione e realtà

MASSIMO RIVA
DA QUANDO i conti pubblici sono passati in mano al duo Berlusconi-Tremonti la situazione è diventata decisamente più grave, ma anche molto meno seria. Più grave perché '#8211; mese dopo mese '#8211; tutte le previsioni economiche e contabili si stanno rivelando sbagliate, talora con margini d'errore davvero spropositati. Lo si è già visto con il consuntivo 2001: il governo si era impegnato a contenere il disavanzo attorno all'uno per cento e, invece, si è chiuso al 2,2, cioè il doppio.

Quest'anno gli svarioni rischiano di moltiplicarsi in numero e in volume. Come mostrano i dati, diffusi ieri nella serata, sull'andamento delle entrate tributarie nel primo semestre.
In complesso queste segnano, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, un incremento dell'1,5 per cento: particolarmente deludente perché così non si arriva a coprire neppure l'inflazione verificatasi nel frattempo.
La principale ragione di questo magrissimo risultato va attribuita al netto calo di gettito di due fra le imposte più significative, quelle sui redditi delle persone fisiche (i cittadini) e delle persone giuridiche (le imprese).
Nel caso dell'Irpef la caduta è stata del 15 per cento, per l'Irpeg del 18.
Per fortuna, che gli italiani hanno continuato a giocare al Lotto (più 27,8 per cento di entrate su questa voce), altrimenti per l'Erario sarebbe stato un disastro.
In questo scenario un governo responsabile di un paese normale getterebbe alle ortiche le sue faraoniche promesse di grandi investimenti pubblici e di mirabolanti tagli d'imposta pronunciando la fatidica frase "Bambole, non c'è più una lira", diventata famosa nel precario mondo dell'avanspettacolo. Ma non così quel grande coreografo della danza delle cifre che è il ministro Tremonti. Dal mondo della rivista questi sembra aver deciso di apprendere non la lezione della cruda realtà del dietro le quinte, ma la vaporosa apparenza delle "gag" e dei lustrini esibiti sotto le luci della ribalta. Riuscendoci, per altro, in modo egregio.
Nel comunicato ministeriale che chiosa la drammatica Caporetto delle entrate, infatti, si toccano picchi di una comicità irresistibile. Il gettito Irpeg ha subìto un tracollo? Per forza - spiegano gli esegeti del tremontismo - questo risultato è in piccola parte il frutto di un rallentamento dell'attività economica, ma soprattutto è il frutto della Dit e della Superdit, cioè delle specifiche imposte introdotte da quei bolscevichi del centrosinistra che hanno fatto regali fiscali enormi al mondo delle imprese: provvederemo noi ora - soggiungono - a varare in fretta una riforma che stabilisca una tassazione più equa ed equilibrata, che non favorisca così smaccatamente il mondo delle imprese e dei suoi ricchi proprietari.
C'è da scommettere che ieri sera il presidente di Confindustria, Antonio D'Amato, deve essersi sentito come il classico amante, che si scopre - come dicono nella sua Napoli - cornuto e mazziato. Il poveretto ha dato l'anima per sostenere il governo dell'imprenditore Silvio Berlusconi fidando nella reiterata promessa di grandi benefici per le aziende ed ora il ministro dell'Economia gli manda a dire non solo che i più grandi servigi fiscali agli industriali li ha già dati il governo di centrosinistra, ma anche che il centrodestra ritiene necessario abrogarli e in tutta fretta. Va bene che di gabbane politiche Giulio Tremonti ne ha cambiate più d'una, ma quello di vederlo indossare i panni del giustizialista fiscale deve essere stata una grossa sorpresa anche per il candido presidente di Confindustria. Adesso, povero tapino, che cosa andrà a raccontare ai suoi associati? Che il governo li ha traditi? Oppure strizzerà loro l'occhio facendo capire, senza dirlo, che si tratta soltanto di una sceneggiata per i più creduloni? Sebbene non richiesto, il nostro consiglio è che scelga senz'altro questa seconda strada. Oramai tutto ciò che viene comunicato dal ministero dell'Economia non merita di essere preso troppo sul serio perché l'unico risultato pratico ottenuto dall'attuale gestione è quello di avere reso inaffidabili tanto le cifre quanto gli impegni sbandierati. Si è cominciato nel luglio dell'anno scorso con la spettacolare denuncia di uno spaventoso buco contabile ereditato dei predecessori, al quale però - mistero glorioso - non si è ritenuto di porre rimedio alcuno con manovre congrue e conseguenti.
Poi si è seguitato asseverando impegni di contenimento del deficit del tutto irrisi a consuntivo perché fondati su fantaeconomiche previsioni di crescita del prodotto interno lordo. Infine, oggi, si insiste nel riparare dietro presunte responsabilità del passato la propria, macroscopica, colpa di non avere fatto alcunché di buono in quasi un anno e mezzo di amministrazione.
Dinanzi a un simile spettacolo di scarso senso delle istituzioni, che sta di nuovo azzerando la credibilità del paese in Europa, diviene naturale e spontaneo il confronto con l'opera del ministro del Tesoro del governo di centrosinistra. Quel Carlo Azeglio Ciampi che ben più di Tremonti avrebbe avuto titolo per invocare l'alibi di un'eredità pesante, ma che si rimboccò le maniche, portò la lira nell'euro e ridusse in breve tempo il maggiore fardello del paese, quello del debito pubblico, dal 125 a sotto il 110 per cento del pil. Laddove il pirotecnico Tremonti lo ha ereditato senza più scalfirlo di un grammo.