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Repubblica-La festa della democrazia-di E.Scalfari

NEI giorni precedenti sul "girotondo" di ieri si è detto e si è scritto: "Molto dipenderà dal numero delle presenze, dall'intensità della rabbia e anche dell'allegria unite insieme. Il resto, il s...

15/09/2002
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la Repubblica

NEI giorni precedenti sul "girotondo" di ieri si è detto e si è scritto: "Molto dipenderà dal numero delle presenze, dall'intensità della rabbia e anche dell'allegria unite insieme. Il resto, il senso e gli obiettivi della manifestazione, sono chiari e c'è ben poco da aggiungere". Così ha detto Nanni Moretti e così, più o meno, hanno ripetuto i commentatori che si sono espressi sui giornali e gli esponenti dei partiti.
Bene. Ieri il numero delle presenze è stato imponente, ne aspettavano 100mila, ne sono arrivati, dicono gli organizzatori, otto volte di più. Non s'era mai vista una moltitudine di queste dimensioni per una manifestazione autoconvocata, senza neppure l'ombra d'una organizzazione e di una struttura alle sue spalle. E c'era anche molta rabbia e molta allegria.
Domenica scorsa avevo parlato di sberleffo rievocando la pernacchia del grande Eduardo. Ieri la pernacchia, anzi il pernacchio, ha echeggiato come un tuono nelle lunghe ore di piazza San Giovanni, all'indirizzo di Berlusconi, di Previti, degli "avvocaticchi", degli incompetenti lacchè che affollano i banchi della maggioranza e le poltrone del governo. Ma non è vero che il resto è già tutto chiaro. Sul resto anzi c'è molto da dire: sul senso, sugli obiettivi e sugli effetti di questa inaspettata e sconvolgente giornata politica. Perché ecco la prima osservazione da fare sul 14 settembre: non è stato, come qualcuno vaticinava, il giorno dell'antipolitica ma, al contrario, il giorno in cui la politica è tornata con prepotenza e passione a dire la sua.
Si dice: la politica si fa in Parlamento. Certo, ma non soltanto. Si è fatta politica nelle piazze, si fa con i sondaggi, si recita ogni giorno in televisione e sui giornali, circola col passaparola, vivifica associazioni, circoli, sindacati. Soltanto chi si astiene e si ritira dalla lizza, chi si compiace della propria indifferenza e del proprio rifiuto, passa nel campo dell'antipolitica.
Perciò il primo significato della giornata di ieri è quello di un vigoroso ritorno in campo di moltissimi che per le ragioni più varie si erano tirati indietro. Ebbene, non è questa una data di festa della democrazia? Va detto che un fenomeno in qualche modo analogo anche se colorato d'opposte motivazioni si verificò otto anni fa e si ripeté nel maggio del 2001 con l'arrivo in campo di Berlusconi e l'invenzione di Forza Italia.
piccoli imprenditori, i padroncini, i titolari delle partite Iva, si erano stancati di consegnare il voto e un passivo consenso alla Dc, serbatoio tradizionale per quarant'anni del ceto medio italiano; decisero di rappresentarsi da soli e delegarono quello che sembrava essere uno di loro. Infatti lo era nei difetti (molti) e nelle virtù (poche). Ma poi, per governare, ci vuole una squadra preparata, affiatata, pervasa da una cultura di legalità e di senso dello Stato.
Questi requisiti non c'erano e il Paese è stato consegnato ad un'armata Brancaleone. Il senso del 14 settembre è analogo nelle forme ma opposto nella sostanza: ritorna a far politica chi l'aveva nel sangue e se ne era allontanato per delusione e sconforto. Con quali effetti sull'andamento della vita pubblica? Questo mi sembra il punto da chiarire.
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Erano partiti dalla legge Cirami, quella sul "legittimo sospetto", fatta - dichiaratamente - su misura per bloccare i processi che vedono imputati tra gli altri Berlusconi e Previti per corruzione di magistrati.
In realtà era chiaro fin dall'inizio che quella legge sciagurata, imposta nelle modalità e nel calendario dai bulldozer della maggioranza, era soltanto un esempio, il più recente e il più svergognato, dell'intenzione di piegare le istituzioni alla tutela di interessi privati dei detentori del potere. Di quell'intenzione, anzi di quella determinatissima volontà, si sono avute numerosissime prove in questi primi quindici mesi di governo Berlusconi.
Risparmio l'elenco che tutti gli italiani conoscono ormai a memoria. Ma oggi la novità, e debbo dire una novità sconvolgente è che una moltitudine enorme di persone sono venute in piazza San Giovanni da tutta Italia per elevare una civilissima protesta in difesa delle istituzioni contro la prepotenza di pochissimi. Ci sono buone ragioni per supporre che con quella piazza consentissero anche molti elettori del centrodestra. Chi riteneva che il tema della legalità, dell'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, fosse riservato a ristretti gruppi intellettuali, dimostrava di non aver capito nulla dei sentimenti che si agitano nel profondo della coscienza pubblica di milioni di cittadini.
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Da questa posizione iniziale alla difesa del sistema dei diritti dei cittadini e dei lavoratori il passo è breve ed è stato infatti rapidamente compiuto perché l'immenso girotondo di ieri era manifestamente simpatetico con le battaglie condotte in questi mesi dalla Cgil. Ma non solo con quelle. Esiste in democrazia un diritto alla verità e alla trasparenza che, specie nella politica economica del governo, è stato sistematicamente violato producendo conseguenze nefaste sull'economia e sulla finanza del Paese. Anche questo secondo motivo era ben presente nei discorsi e negli umori di piazza San Giovanni; si tratta di una tonalità aggiuntiva di grande peso politico.
Infine, terzo aspetto che ha connotato la manifestazione, l'ostilità contro la guerra, l'affermazione di un pacifismo che si appoggia alla martellante campagna del Papa, alla mite ma non arresa resistenza del segretario dell'Onu contro il "pressing" di Bush e all'intransigente "no" di Schroeder e della socialdemocrazia tedesca.
Qui, su una questione così capitale, il discorso si fa necessariamente molto complesso: mette in gioco questioni morali, la condanna del terrorismo che è ormai uno dei mali più gravi del secolo, il rapporto delicatissimo tra Occidente e Islam e, all'interno dell'Occidente, tra America ed Europa. Una piazza, per appassionata matura e numerosa che sia, non può darsi carico di un tema di questa natura e complessità. Ma può, anche su di esso, esprimere un sentimento e l'ha chiaramente manifestato facendo proprio l'appello di Abbado e quello di Gino Strada.
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Legalità, diritti dei cittadini e dei lavoratori, pace e lotta alla povertà sono stati dunque i temi di ieri. Quali ora gli effetti politici? Nonostante le previsioni di alcuni, il movimento dei girotondi non si trasformerà in un partito: giocherebbe in perdita se lo facesse. Ma diventerà - è già diventato e il 14 settembre ne ha rappresentato l'atto di consacrazione - un potentissimo gruppo di pressione del quale i partiti d'opposizione dovranno tenere gran conto.
Faccio un'ipotesi puramente provocatoria: che cosa accadrebbe se quella moltitudine di ieri decidesse di iscriversi ai Ds e/o alla Margherita? Le realtà attuali di quei partiti e dei loro gruppi dirigenti non ne risulterebbero democraticamente modificate se non addirittura sconvolte? È chiaro che la partitizzazione dei movimenti non avverrà, ma diverso sarà invece l'effetto che essi potranno e vorranno esercitare sull'Ulivo inteso come soggetto politico distinto dai partiti che lo compongono.
Sull'Ulivo gli effetti saranno notevoli perché se i delusi hanno deciso di tornare e di scendere in campo, lo fanno anche per decidere le scelte e i volti della politica. Credo che i dirigenti dei partiti dell'opposizione ne siano, a questo punto, pienamente consapevoli. Se ignorassero questo dato nuovo sarebbero ciechi e sordi. L'auspicio è che percepiscano invece con grande attenzione ciò che sta cambiando intorno a loro.


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