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Repubblica-"La nuova riforma Moratti frena l'autonomia degli atenei"

L'INTERVISTA Giuseppe De Rita, segretario della Fondazione Censis, è sostenitore di un cambiamento reale "La nuova riforma Moratti frena l'autonomia degli atenei" i professori Oggi l'universi...

05/06/2004
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la Repubblica

L'INTERVISTA
Giuseppe De Rita, segretario della Fondazione Censis, è sostenitore di un cambiamento reale
"La nuova riforma Moratti frena l'autonomia degli atenei"

i professori Oggi l'università è ancora fondata sulla classe accademica, anche se tutti i docenti dicono che deve essere il ragazzo a valutare E molti sono sinceri
MARIO REGGIO

ROMA - Giuseppe De Rita, segretario generale della Fondazione Censis, è da sempre convinto della necessità di una riforma reale del sistema universitario, basato sull'autonomia, la ricerca e la valutazione.
Secondo lei si possono già valutare i primi effetti del tre più due?
"È ancora presto, nel senso che il vero nodo della riforma è il biennio della laurea specialistica. Se viene costruito bene è un'ottima cosa, altrimenti la laurea triennale si riduce ad una sorta di superliceo".
Intanto si concretizza un ulteriore cambiamento: il percorso ad Y.
"Purtroppo siamo un Paese "riformista", vale a dire non abbiamo il senso della continuità delle cose. La riforma andava fatta e doveva restare in incubazione per cinque o dieci anni, per valutarne gli effetti e studiare i correttivi. Ma credo che gli annunci valgano poco: c'è una macchina in corsa che non si può fermare. Invece di concentrarsi sul come configurare la laurea specialistica, legandola al numero chiuso, al finanziamento selettivo e alla ricerca, si preferisce tornare alla gestione centralizzata del sistema universitario. Rischia di vincere la paura dell'autonomia degli atenei e la selezione tra le diverse università. A me sembra un errore".
Il corpo accademico ha digerito il principio della valutazione e della competizione?
"Nell'andar del tempo ho visto tre posizioni diverse. All'inizio i rettori l'hanno presa davvero male. Non andava giù l'idea che la valutazione passasse attraverso il numero degli iscritti, l'attrattività dell'ateneo, i livelli dei servizi didattici, il mercato. Poi, via via, i rettori si sono adeguati. Ora siamo in una situazione di non belligeranza. I presidi di facoltà hanno subito accettato la sfida, si sono dichiarati pronti a rischiare, si sono convinti che la valutazione e la competitività erano non solo giuste ma necessarie. Una scelta strategica, perché sono proprio i presidi quelli che, in prospettiva, avranno l'ultima parola nel passaggio successivo, vale a dire le sedi e i corsi accredidati dalle facoltà. Per ultimi i singoli docenti: qui la divisione esiste, c'è chi si dice pronto ad essere valutato e chi si oppone con molta forza".
Tutti affermano che lo studente deve essere al centro del sistema. Sono tutti sinceri?
"Tutti quelli che lo dicono, quelli che io sento, li sento sinceri, convinti che deve essere il ragazzo a valutare quello che gli ha dato l'università. La verità è che la macchina va per proprio conto, come una corazzata che segue la sua rotta. E fargliela cambiare, anche di pochi gradi, non è cosa facile. Oggi l'università è ancora centrata sulla classe accademica. Ma tra una decina d'anni cambierà, perché gran parte della classe docente sarà andata in pensione".
L'università italiana soffre di un grave problema: alcune facoltà sono sovraffollate, altre deserte.
"La colpa è della cultura collettiva che valorizza e celebra le facoltà di comunicazione di massa. Che esalta la comunicazione e l'immagine, enfatizza i valori della presenza, del guadagno facile. Meglio diventare un grande commercialista o un famoso avvocato che fare lo scienziato. Il problema è del sistema sociale non di quello universitario. Per vedere qualche cambiamento dovremo aspettare una decina d'anni".
Cosa ne pensa della valutazione dei docenti da parte degli studenti?
"Vent'anni fa cominciai a partecipare alle giornate "Ambrosetti", vale a dire incontri con manager ed esperti. Alla fine della giornata i 40 presenti ti davano il voto sulle capacità di comunicazione, la chiarezza di esposizione, l'interesse suscitato. Ad Abano Terme mi comunicarono che avevo avuto il massimo. Chiesi quanto valeva quel voto. Mi risposero: dopo due valutazioni negative cancelliamo il nome dalla lista. Naturalmente la valutazione va applicata con le dovute precauzioni, altrimenti una quarantina di ragazzotti si mettono d'accordo e fanno barba e capelli al prof perché magari l'ha bocciati".
Cosa ne pensa del ritorno al concorso unico per i docenti?
"La risposta è la stessa che ho dato durante l'audizione in Parlamento 15 giorni fa: è una ricentralizzazione indebita, contro la riforma, l'autonomia e il mercato".
Insomma, l'università italiana ce la farà?
"Al singolare risponderei di no. Se parliamo di una trentina di atenei, allora la mia risposta è si".