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Repubblica-La scure sui sindaci

Massimo Riva La vendetta è un piatto che va servito freddo. Memori di questa cinica massima, Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti la stanno ora mettendo in pratica con accorta determinazione. Gli i...

29/09/2005
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la Repubblica

Massimo Riva

La vendetta è un piatto che va servito freddo. Memori di questa cinica massima, Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti la stanno ora mettendo in pratica con accorta determinazione. Gli italiani non hanno votato per il Cavaliere e soci in tutte le ultime tornate amministrative, consegnando al centrosinistra la guida di importanti città e regioni? Ebbene, ecco arrivato il momento per fargli pagare il conto della loro impertinente ribellione al mago di Arcore.
Solo questa considerazione di basso interesse politico-elettorale, infatti, può spiegare la scelta di imporre il taglio più drastico e pesante ai bilanci degli enti locali. Che l'intera struttura amministrativa dello Stato, dal Brennero a Pantelleria passando per Roma, sia oggi in dovere di dare un sostanzioso contributo alla chiusura della falla aperta nei conti pubblici è un obiettivo fuori discussioneMa l'idea che dal centro dello Stato si decida di caricare il maggiore sforzo di aggiustamento sulle amministrazioni periferiche è un'iniquità economica e sociale, che può comprendersi soltanto in forza di motivazioni di convenienza politica.
Certo, l'emergenza è tale che ormai non serve neppure attardarsi troppo a sottolineare quanto - ahinoi - quel buco sia effetto di una strategia finanziaria sbagliata e ingannevole concepita dagli stessi che ora sono chiamati a porvi rimedio. Per non perdere il controllo della finanza pubblica (e la faccia in Europa), l'Italia deve tagliare quest'anno il suo deficit di quasi un punto percentuale sul Pil, vale a dire di una somma fra gli 11 e i 12 miliardi di euro. E' logico che tutti debbano fare la propria parte. Dunque, era immaginabile ed è francamente scontato che la cinghia debba essere stretta anche sui bilanci degli enti locali.
Solo che un taglio in una misura che in pratica potrà sfiorare il 10 per cento non è una stretta: in molti casi, perfino nelle più grandi e ricche città o regioni, rischia di far saltare servizi pubblici essenziali e migliaia di posti di lavoro. Fra l'altro, con conseguenze pesanti, ma evidentemente sottovalutate, di depressione di una domanda interna già da tempo languente.
Si sovrappongono poi in questa ipotesi dell'accoppiata Berlusconi - Tremonti elementi di ritorsione politica e di incapacità gestionale. Va notato, infatti, che l'ingiunzione di questo sacrificio ai bilanci degli enti locali viene dallo stesso governo che, per quanto riguarda le spese di sua stretta pertinenza, aveva varato il famoso decreto di taglio del due per cento alle uscite di tutti i ministeri. Una misura - si badi bene: pari ad appena un quinto di ciò che oggi si vorrebbe togliere a comuni, provincie e regioni - che si è rivelata un buco nell'acqua perché nessuno di coloro che siedono attorno al tavolo del Consiglio dei ministri l'ha rispettata o neppure tentato di farlo.
Precedente che illumina di incredula comicità il reiterato impegno alla potatura delle spese ministeriali. In realtà, nell'impotenza a fare ordine nei propri conti ora il governo fa calare la ghigliottina su quelli altrui.
Naturalmente, nessuno pensa che sia impresa facile - per giunta, in un paese ridotto alla crescita zero - reperire i soldi necessari per colmare i buchi che si sono lasciati aprire nel bilancio. Ma dove sta l'equilibrio di una manovra che propone la tosatura più forte mai immaginata per le casse degli enti periferici: sui quali - sia ricordato per inciso - gravano i maggiori costi per i servizi resi quotidianamente alla collettività? Dove sono tutti coloro che da anni ci stanno assordando con la retorica del federalismo? Dov'è la voce di Umberto Bossi e soci? Ovvero stavolta la famigerata "Roma ladrona" può fare quel che vuole nel silenzio assoluto dei sedicenti federalisti padani?
E, per favore, non si venga a sbandierare come equo contrappasso il proposito di tagliare di un analogo dieci per cento anche le indennità dei parlamentari. Siamo seri: i costi della politica c'entrano assai poco con le indennità dei parlamentari, ma molto, molto di più con il numero dei medesimi, nonché dei consiglieri e assessori regionali, provinciali, comunali. Si vuole che anche gli enti locali facciano risparmi permanenti e strutturali? La via maestra è quella di ridurre la quantità di "professionisti" della politica, che in Italia raggiunge vette sconosciute in altre anche più solide e mature democrazie rappresentative. Ma chi ci pensa?
Certo non coloro che oggi stanno impasticciando di gran fretta una riforma elettorale mirata solo a conservare più poltrone e più prebende per se e per i propri fedelissimi.
Dulcis in fundo, va segnalato che sembrano aver fatto breccia nel governo i forti dubbi sulla possibilità di ricavare da tre a quattro miliardi di maggior gettito con la lotta all'evasione fiscale. Nel testo della Finanziaria non se ne farà cenno ma, come già accaduto, durante l'esame parlamentare spunterà a copertura l'ennesimo condono, che il governo farà finta di subire. Cosicché la pistola puntata alle tempie degli evasori sarà niente meno che la terrificante arma dell'amnistia tributaria. Un espediente in grado di squalificare da solo tanto la manovra quanto il governo che la sta allestendo. Purtroppo, anche l'Italia intera agli occhi dell'Europa.