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Repubblica: La storia delle religioni nelle nostre università

LETTERA APERTA AL MINISTRO FABIO MUSSI

19/06/2007
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la Repubblica

MAURO PESCE

Signor Ministro, sotto il Suo impulso, il Comitato Universitario Nazionale (CUN) ha provveduto a presentarLe una proposta che unisce in grandi raggruppamenti le discipline insegnate nelle università italiane. Il provvedimento - che non ho intenzione di contestatare - non è però solo burocratico, ma ha grandi ripercussioni sullo statuto epistemologico e la funzione pubblica delle discipline. Vorrei perciò porre alla Sua attenzione un pericolo serio che comportano alcuni degli orientamenti del CUN.
La questione in ballo è la sorte dell´insegnamento delle religioni nelle Università italiane a partire dalla religione cristiana. Le religioni giocano oggi (e in futuro) un ruolo fondamentale nella scena mondiale, culturale e politica. Le università debbono assumere un ruolo guida per l´analisi scientifica delle religioni in funzione della società civile. Anche i non credenti, gli agnostici e gli atei sono accomunati da questa ricerca scientifica che garantisce la comunicazione al livello dell´analisi razionale e offre quindi la base per la convivenza civile. Lo stato italiano non può lasciare lo studio delle religioni solo alle facoltà teologiche.
2. Cosa propone invece il CUN? Prendiamo il caso della Storia del Cristianesimo, la disciplina che studia la religione prevalente in Italia e in Europa, la più grande religione del mondo. I professori di Storia del Cristianesimo non sono numerosi e perciò debbono essere accorpati ad altri gruppi che il Ministero vuole di almeno circa 350 docenti. Su questo non discuto. Il CUN però, cedendo a pressioni miopi, ha deciso di accorpare la storia del cristianesimo addirittura con la Storia medievale. Il fatto è che religioni come Buddismo, Cristianesimo, Ebraismo e Islam sono fenomeni storici purimillenari. Non sono fatti medievali. Ma la cosa drammatica è che lo studio del cristianesimo non può essere separato da discipline di carattere generale, come storia delle religioni, o filosofia o antropologia culturale. Le religioni vanno studiate in prospettiva pluridisciplinare, storica, letteraria, sociologica, antropologica, giuridica, psicologica.
La storia del cristianesimo è nata in Italia alla fine dell´Ottocento come filiazione della Storia delle religioni. Fu Baldassarre Labanca all´Università di Roma che creò la prima cattedra trasformando il suo insegnamento da Storia delle religioni a Storia del Cristianesimo. Gli successe Ernesto Buonaiuti, un grandissimo intellettuale, anch´esso molto sensibile alla storia comparata delle religioni, che dovette abbandonare la cattedra perché antifascista e per le pressioni ecclesiastiche in occasione del concordato del 1929, in quanto prete modernista. Rappresentanti più recenti di questa disciplina come Franco Bolgiani, Giuseppe Alberigo, Giovanni Filoramo, io stesso, e molti altri hanno conservato questa applicazione diacronica ampia e un atteggiamento comparatista spiccato. Il rapporto con la storia delle religioni è nel DNA della storia del cristianesimo.
3. Ma di soluzione non ce n´è una sola. Il Suo governo potrebbe prendere una decisione di rilevanza culturale veramente ampia. Perché non creare un grande unico raggruppamento accademico per lo studio di tutte le religioni, soprattutto Cristianesimo, Ebraismo e Islam? Si restituirebbe così all´università dello Stato una funzione fondamentale nello studio dei fenomeni religiosi in una situazione di politica mondiale in cui la società civile ha un bisogno urgentissimo di un polo autonomo nell´osservazione delle religioni.
Le università fondano la convivenza democratica delle religioni. La prego, si faccia promotore di una decisione coraggiosa e difenda, anzi potenzi la funzione pubblica nello studio delle religioni. E´ un compito urgentissimo degli stati democratici. Rendere la storia del cristianesimo un sottosettore della storia medievale sarebbe uccidere non solo questa materia, ma privare l´Italia di un polo di riferimento identitario forte. Certo, io sono contrario a quelle autorità ecclesiastiche che nei decenni recenti hanno proposto il cristianesimo come unica base culturale dell´Italia, ma l´opporsi a questa deriva che cancella la laicità della nostra cultura non significa arrivare fino a annullarne la funzione conoscitiva negli Atenei nel campo della religione principale della nostra storia millenaria. Io difendo la scelta giusta di non menzionare il cristianesimo come base della cultura europea, ma cosa sarebbe di queste grandi linee culturali se le università italiane perdessero per sempre l´occasione di essere il giacimento da cui i grandi dibattiti culturali e politici in campo religioso si nutrono? Faccia sì che non sia questo governo ad affossare lo studio accademico del cristianesimo e delle altre religioni.