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rEPUBBLICA-LE VERE RAGIONI DEL GRANDE BLACKOUT

LE VERE RAGIONI DEL GRANDE BLACKOUT EUGENIO SCALFARI IL GIORNO dopo l'ovazione da stadio che il congresso laburista di Bournemouth aveva tributato a Tony Blair, il progetto di privatizzare...

03/10/2003
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la Repubblica

LE VERE RAGIONI DEL GRANDE BLACKOUT
EUGENIO SCALFARI
IL GIORNO dopo l'ovazione da stadio che il congresso laburista di Bournemouth aveva tributato a Tony Blair, il progetto di privatizzare gli ospedali di eccellenza della Sanità inglese è stato battuto con una maggioranza del 56 per cento. Uno dei leader delle trade unions ha commentato: "Riforme basate sul marketing e sulla competizione non sono un modello adatto a migliorare i servizi pubblici" .
Questa affermazione è controversa come è controversa l'esperienza di servizi pubblici liberalizzati e privatizzati. In alcuni casi l'esito è stato abbastanza o molto soddisfacente accrescendo efficienza e realizzando consistenti riduzioni di prezzo in favore degli utenti; in altri casi ha provocato invece inefficienza e costi maggiori. In Gran Bretagna questo è stato il caso dei trasporti ferroviari, negli Stati Uniti quello dell'elettricità (la crisi in California e i numerosi e gravi blackout in tutto il paese ne sono evidente conferma) e quello della sanità a pagamento.
Sulla base delle esperienze e di considerazioni teoriche sofisticate si può arrivare a conclusioni opposte ma un fatto è certo: a partire dal 1989 chi avesse tentato di opporsi al pensiero dominante in tema di liberalizzazioni e privatizzazioni sarebbe stato trattato da mentecatto o da sabotatore eversivo.
Perciò nessuno ci ha provato e quand'anche nell'intimo suo avesse visto e previsto gli aspetti negativi delle privatizzazioni fatte di prescia o addirittura miranti soltanto a fare cassa, si sarebbe tenuto per sé i dubbi e gli argomenti contrari al trend del liberalismo über alles.
In Italia tra i casi lampanti di cattivi processi di privatizzazione si possono annoverare le telecomunicazioni e l'industria elettrica. Quest'ultima è proprio in questi giorni nel mirino delle critiche per il colossale blackout della scorsa settimana, preceduto peraltro da ripetuti segnali nel corso dell'ultimo anno che dimostravano l'estrema vulnerabilità del sistema elettrico nato da una privatizzazione e liberalizzazione compiuta a metà e priva di coordinamento, di ponte di comando centrale, di regole certe che ne garantissero il corretto funzionamento.
Nel 1962-63 ebbi la ventura d'esser tra quelli che più si impegnarono per la nazionalizzazione dell'industria elettrica, in compagnia di un drappello di cultura liberale, consapevole e seguace dell'insegnamento di Luigi Einaudi secondo il quale quando per ragioni tecniche un settore industriale si organizza in forme monopolistiche, il monopolio pubblico è di gran lunga preferibile a quello privato.
Questa essendo la situazione italiana, dove la Edison insieme alla Sade, alla Centrale, alla Sme, avevano da cinquant'anni formato un cartello di grande potere economico e politico e lucrato laute rendite di posizione a danno dei consumatori, quel gruppo di liberali aprì una battaglia che sembrava impari ma che portò in un anno alla nazionalizzazione dell'industria elettrica. Mi pare doveroso ricordare qui i nomi di quelle persone e dei pochi giornali che le sostennero di fronte ad uno schieramento mediatico che comprendeva tutta la stampa italiana, la radio e la televisione. I giornali furono Il Mondo e L'Espresso; i liberali che si batterono per la nazionalizzazione si chiamavano Ernesto Rossi, Bruno Visentini, Tullio Ascarelli, Leopoldo Piccardi, Felice Ippolito e chi ora scrive queste righe.
Il servizio elettrico nazionalizzato fu complessivamente costruito su solide basi sia dal punto di vista finanziario sia da quello tecnico; la produzione, la distribuzione, la struttura tariffaria, i metodi di gestione furono accurati; i risultati complessivamente buoni, spesso addirittura ottimi. Lo Stato incassò pingui dividendi lasciando tuttavia in capo all'Enel ampi mezzi di autofinanziamento per investimenti nelle centrali e nella rete di trasporto e distribuzione. Soltanto in tempi recenti, a causa delle gravi strettezze della pubblica finanza, lo Stato avocò quasi per intero i profitti dell'Ente, con conseguenze negative sul volume degli investimenti.
Tralascio perché ben nota la dolorosa questione delle centrali nucleari, prima costruite, poi bloccate e infine riconvertite o addirittura distrutte, in seguito al referendum seguito alla crisi di Chernobyl, con un dispendio colossale di risorse che grida tuttora vendetta.
La caduta del muro di Berlino, tra gli innumerevoli effetti che provocò in tutto il pianeta, ebbe anche quello di mettere in discussione l'industria elettrica nazionalizzata e infine di avviarne la graduale denazionalizzazione.
Un vero dibattito pubblico non ci fu; come ho già ricordato i pochi che nutrivano dubbi sulla validità di quella strada si limitarono a raccomandare prudenza e attento studio degli organismi che comunque avrebbero dovuto presiedere alla gestione dell'industria elettrica. Resistenze al processo di privatizzazione ci furono, ma si trattò di resistenze burocratiche messe in atto dai cosiddetti baroni del capitalismo pubblico. Quindi resistenze di parte, motivate soprattutto dal desiderio di difendere un sistema di potere piuttosto che di tutelare il pubblico interesse.

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Questi sono gli antefatti o almeno questa è la mia visione e la mia testimonianza degli antefatti per come io li ho visti e vissuti. Ho citato prima quel gruppo di liberali che fu determinante nello scontro con il monopolio privato elettrico e con la potentissima rete delle sue alleanze economiche e politiche. Naturalmente sulle nostre stesse posizioni convergevano i socialisti guidati da Riccardo Lombardi e da Antonio Giolitti, il Pci e in particolare Giorgio Amendola, le correnti di sinistra della Dc.
Ugo La Malfa faceva tutt'uno col gruppo del Mondo.
Ma ora vorrei aggiungere qualche cosa sui fatti di oggi, sul blackout di pochi giorni fa, su quelli che l'hanno preceduto e sulla previsione formulata l'altro giorno in Parlamento dal ministro Marzano che altri casi di oscuramento si verificheranno almeno per tutto il 2004. Non entrerò invece nel tema specifico di come e perché si sia prodotta una crisi elettrica di un intero paese di 55 milioni di persone a causa di un albero sito in una montagna svizzera le cui fronde, sfiorando i cavi di alta tensione collegati ad una centrale, hanno mandato in tilt l'intero sistema elettrico italiano. Il fatto, del quale si debbono comunque accertare e sanzionare le responsabilità, è meno assurdo di quanto a prima vista possa sembrare.
Le vere responsabilità sono di altra natura e si possono riassumere in due cifre estremamente eloquenti: la potenza installata nelle centrali italiane, che è pari a 76 mila MW, la potenza disponibile operativa che oscilla tra 48 e 52 mila MW. Mancano cioè all'appello mediamente 26 mila MW e la riserva che dovrebbe fronteggiare le punte di domanda è del tutto insufficiente.
Errori umani, eventi naturali, alberi che cadono su cavi e tralicci, consumi improvvisamente emergenti, cioè tutti gli accadimenti che avvengono normalmente in una rete integrata con dimensioni molto estese che coinvolge almeno tre paesi, Italia, Francia, Svizzera, il primo dei quali è forte importatore di energia, non sono le vere cause delle crisi alle quali siamo soggetti.
Il ministro Marzano e molti con lui denunciano la carenza di centrali produttive; l'opposizione segue anch'essa questo modo di ragionare e ciascuna delle due parti imputa all'altra la responsabilità delle mancate costruzioni.
In realtà si tratta di un grave errore e di una grande e diffusa ignoranza. La costruzione di nuove centrali significa aumentare ulteriormente la potenza installata, mentre il vero problema è quello di accrescere la riserva e quindi la potenza disponibile operativa. Fino a quando questo problema capitale non sarà stato risolto la costruzione di nuove centrali si rivelerà del tutto inutile.
Sono, debbo dirlo, stupefatto che un errore concettuale tecnico così palese venga commesso ignorando o sottacendo le cause che rendono inaffidabile e fragilissimo il sistema elettrico italiano.

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Le cause, dette in breve, sono le seguenti.
1. Il coordinamento tra le centrali produttive, che sono ormai di diverse proprietà, con la quota Enel che copre più o meno un terzo della produzione totale, è del tutto insufficiente per varie ragioni tra le quali la principale è la mancanza di un punto di comando che faccia valere gli interessi generali dell'utenza su quelli dei singoli attori sulla scena dell'industria elettrica.
2. Le responsabilità e i poteri sono diffusi e ripartiti tra il ministro, il gestore della rete, l'autorità di regolazione, i proprietari delle centrali. Questi ultimi sono del tutto autonomi nel decidere quali centrali debbano essere mantenute in funzione e quali invece, in quali ore, giorni, stagioni, possano restare inattive.
3. Manca l'organo tecnico posto a tutela dell'interesse pubblico e dotato di poteri cogenti rispetto all'autonomia dei produttori collegati o collegabili con la rete nazionale.
4. Manca la "Borsa dell'elettricità" che muova i prezzi per indurre i produttori a far funzionare le centrali in misura sufficiente alle necessità di soddisfare la domanda che è estremamente e rapidamente variabile.
5. Manca o è insufficiente la programmazione di tale domanda. La situazione è arrivata addirittura al punto che il gestore della rete si augura una permanente stasi dell'industria italiana poiché non riuscirebbe a fronteggiare le richieste di un'eventuale ripresa congiunturale e andrebbe incontro a blackout frequenti e sempre più gravi.
In breve: dalle strutture gerarchiche dell'industria nazionalizzata siamo passati ad una struttura basata su centri indipendenti senza aver predisposto le regole, i meccanismi, i poteri di controllo, la programmazione, la tutela degli interessi dell'utenza. Non vorrei drammatizzare ma mi azzardo a dire che siamo passati dalla nazionalizzazione ad una liberalizzazione senza regole che sfiora il caos.
Una riserva di poche centinaia di MW, con un gap di 28 mila MW tra potenza installata e potenza disponibile, un palleggiamento di responsabilità continuo e insensato: come lo chiamereste voi un sistema siffatto, cari lettori e utenti?