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Repubblica-lettere

GENTILE dottor Augias, apprezzo l'attenzione che lei dedica alla scuola e i contenuti delle sue risposte. Proprio perché nella sostanza concordo, mi permetto di rilevare che un termine utilizzato i...

20/12/2001
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la Repubblica

GENTILE dottor Augias, apprezzo l'attenzione che lei dedica alla scuola e i contenuti delle sue risposte. Proprio perché nella sostanza concordo, mi permetto di rilevare che un termine utilizzato in una sua risposta è improprio. Là dove lei parla della "insostituibile funzione neutrale della scuola pubblica". Io non direi neutrale, bensì "pluralista".
Non è un cavillo. I sostenitori delle scuole di parte cercano di motivare la confusione tra pubblico e privato affermando che i giovani devono ricevere educazione e non solo istruzione, e che "neutralità" significa incompletezza.
Io replico che rifiutare l'unilateralità e il dogmatismo non significa assenza di valori, bensì educazione al confronto, presentazione della varietà di posizioni che caratterizza la società contemporanea, ricerca di riferimenti condivisi che favoriscano la convivenza (nel dialogo, e non solo nella tolleranza).
Non dobbiamo lasciare soli gli insegnanti, e sono moltissimi, che non si limitano alle loro discipline in senso stretto, ma educano anche ai valori civili: le carte dei diritti a livello mondiale ed europeo, la nostra Costituzione, gli elementi di unità nella storia nazionale.
Difendere la "scuola di tutti" significa oggi non solo contrapporsi alla scuola delle chiese di ogni religione, ma anche alla scuola dei campanili.
Giunio Luzzatto
cared@unige.it
CONDIVIDO il contenuto della lettera e accetto la correzione: non scuola neutrale dunque bensì pluralista.
Dirò anzi di più: pluralista all'interno di un sistema garantito per tutti, pubblico, di uguale impostazione nel territorio dello Stato, da Nord a Sud.
Insomma la scuola come uno degli strumenti di un'unità nazionale di cui c'è bisogno oggi più di ieri, con Europa e "devoluzione" alle porte, in un paese in cui il sentimento unitario è ancora fragile.
In estrema sintesi tre mi sembrano i punti maggiormente negativi del progetto di riforma. Il primo è la visione aziendalistica della scuola.
Chiaro che così facendo si risparmieranno un po' di soldi e si avrà, in qualche caso, più efficienza. Uno Stato però non deve risparmiare, deve spendere bene i soldi. In questo caso, risparmiando, si farà bellamente a pezzi l'uguaglianza dei diritti di tutti gli alunni, zone ricche o zone povere. E non è detto che non sia questo, e non il risparmio, il fine nemmeno occulto della riforma.
Aver tolto l'aggettivo "pubblica" dall'intestazione del ministero è un manifesto: l'istruzione privata parificata nei fatti a quella dello Stato.
Qui sta il secondo aspetto negativo: scuole private significa o piccoli istituti talvolta truffaldini dove si strappa (pagando) il pezzo di carta, o scuole confessionali, cioè cattoliche.
Se a questo si aggiunge un esame di maturità affidato solo a professori interni, senza cioè possibilità nemmeno formali di controllo, è chiaro il disegno: rompere il sistema educativo, svalutare l'istruzione pubblica per sostituirla progressivamente con quella confessionale.
Terzo aspetto deleterio un concetto di formazione professionale che sembra risalire all'Ottocento.
Insomma questa scuola, come ha scritto benissimo Lucio Russo, sembra fatta apposta non per educare ma per preparare "consumatori, contribuenti, elettori". Elettori giudiziosi, naturalmente.


Presentazione del libro il 18 novembre, ore 15:30
Archivio del Lavoro, Via Breda 56 (Sesto San Giovanni).

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