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Repubblica-Milano-Non imponeteci i professionisti del catechismo

IL DIBATTITO Non imponeteci i professionisti del catechismo UGO VOLLI Caro profe...

04/07/2004
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la Repubblica

IL DIBATTITO
Non imponeteci i professionisti del catechismo
UGO VOLLI


Caro professor Giannino, permetta che mi presenti: sono un insegnante, un collega, benché nell'università pubblica dove lavoro non vi sia insegnamento religioso. Sono anche il padre di due ragazzi che non frequentano lezioni di religione: per loro libera scelta, non perché l'abbia imposto io. Sento di dover rispondere alla sua lettera agli studenti "esonerati", pubblicata su venerdì su Repubblica. Mi ha fatto tristezza la sua auto definizione di "professionista della cultura religiosa". Ai miei tempi i suoi predecessori si consideravano sacerdoti, magari un po' missionari. Lei invece usa quest'espressione del gergo modernista, proponendovi quasi come "i professionisti del panino" e i calciatori professionisti. Forse lo fa per dire che sapete quel che insegnate: non mi permetto di dubitarne. Ma professionista oggi è chi è pagato a prestazione: non è il vostro caso, spero. Forse lei vuole suggerire una neutralità tecnica che però certamente non vi appartiene. Tornerò su questo punto.
Di fatto, la sua è una definizione prudente: voi infatti non siete professori come gli altri, non dovete aver frequentato una normale università, non avete superato un concorso pubblico aperto a tutti. Siete stati scelti dalla curia vescovile e siete stati messi in cattedra dall'attuale governo, tutti in blocco e senza concorsi, con la clausola di insegnare religione solo finché avrete il gradimento ecclesiastico.
E questo non è un punto di poco conto.
Non lo è perché questo fa di voi, non dei comuni professori, liberi del vostro pensiero ed esperti di un sapere critico, ma catechisti, apologeti religiosi, che devono educare i giovani secondo contenuti e finalità stabiliti dalla gerarchia ecclesiastica. Nobile missione, che rispetto profondamente, ma certo lontana dall'imparzialità della scuola. Anche se cercate di presentarvi come neutri "professionisti della cultura religiosa", ne consegue che le vostre classi non mirano a formare un sapere religioso critico, quanto a crescere buoni cattolici, "contenendo la dispersione" della "comunità ecclesiale", come lei stesso scrive. Ma perché dovrebbe farsi riportare nel gregge un ragazzo che non pensa che la contraccezione sia un crimine, che il matrimonio civile e il divorzio siano peccati o che l'omosessualità sia una condizione patologica? Parlo solo di cose di questo mondo, lasciando da parte per rispetto il nocciolo della fede: ma non posso evitare di chiederle perché mai nella scuola pubblica, che è di tutti, anche degli atei e degli islamici, si dovrebbe insegnare a credere in Dio piuttosto che a farne a meno, e a crederci in un certo modo (uno solo, controllato dal vescovo) piuttosto che in uno dei molti altri. Non dubito affatto che lei e parecchi fra i suoi colleghi siate persone buone e aperte, anche educatori veri. Ma per me lo scandalo dell'insegnamento della religione è l'inverso di quello che lei denuncia: sta nel fatto che in una scuola pubblica e con fondi pubblici sia previsto nel curriculum un catechismo. Che i ragazzi i quali non vogliano subirlo debbano "chiedere" di esserne "esentati", magari guardati un po' storto dove non siano numerosi come a Milano. La cultura religiosa è essenziale, ma è cultura solo se insegnata in termini storico-critici: per sapere e non per credere. Certo, anche l'apologetica religiosa è importante e ha prodotto grandi tesori del pensiero e dell'arte: ma va condotta per ciascuna religione nella sua sede, con i suoi fondi, rivolta a chi la chiede. Ogni sconfinamento è un passo indietro verso l'intolleranza. Certamente animata dalle migliori intenzioni, anche la sua lettera, con l'accusa implicita di pigrizia agli studenti "esonerati", va in questa direzione.
Ugo Volli