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Repubblica-Milano-Statale, è una protesta dance

Statale, è una protesta dance Pochi slogan e tanta voglia di stare insieme anche di notte Gli eredi della Pantera hanno deciso di andare avanti nella occupazione "Proseguiremo dopo le fe...

30/10/2005
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la Repubblica

Statale, è una protesta dance
Pochi slogan e tanta voglia di stare insieme anche di notte

Gli eredi della Pantera hanno deciso di andare avanti nella occupazione "Proseguiremo dopo le feste"
Il rettore Decleva: "Siamo in giorni di vacanza, ma questa è un'evidente illegalità che deve finire presto"
Stefano intona Love me tender ed è un successone, il dj mischia sound system con Ambra e la Carrà Capelli rasta e gonne eleganti
Alle tre la musica si spegne e nell'aula 104 spazio ai sacchi a pelo dopo aver ripulito tutto. E al pomeriggio dopo ritorna Dario Fo
ORIANA LISO

Andrea ha visto la Pantera. Quindici anni fa, assunto da pochi giorni in Statale, si ritrovò in quell'incontenibile blob dei tre mesi di occupazione dell'università. Da gennaio a marzo, con gli studenti che volevano picchiarlo perché pensavano fosse della Digos. Andrea è ancora lì, in via Festa del perdono: lui, da solo, nel suo gabbiotto di vetro. Fuori, nell'atrio e nei corridoi, la prima volta della generazione Ottanta. Figli, fratelli minori di quella Pantera che aggredì Milano nel Novanta? A questo ci si penserà dopo. Ora, la prima notte, sono loro che si prendono la Statale e dicono: "Andremo avanti fino a quando sarà necessario, la riforma Moratti sarà pure passata, ma devono riuscire ad attuarla. Non è un'occupazione da ponte di Ognissanti". Propositi che il rettore Decleva non deve approvare se, ieri, detta: "Anche se avviene in giorni di vacanza, l'occupazione decisa e attuata da poche decine di persone costituisce un'evidente illegalità alla quale va posto termine al più presto".
Poche decine, molte centinaia. Quattrocento ad ascoltare Dario Fo, ieri pomeriggio ai microfoni dell'aula 102, che li incalza: "Dovete spiazzare con forme di lotta nuove quelli che cercano di addormentarvi". Più di un migliaio fino alle quattro di sabato mattina, nel rave party politicamente corretto della prima notte di occupazione da quindici anni a questa parte. E Nada, la Carrà, Ambra che si mischiano al sound system nelle scelte dei dj, mentre fuori dal portone una decina di studenti musicisti improvvisano l'Internazionale con trombe e flauti. Non c'è gara, vincono le prime. A ballarle ci sono venti-venticinquenni, poche magliette del Che, tanti capelli rasta, gonne da signorine per bene e occhiaie da alto tasso alcolico e fumo libero. Aula 102, 103, 109. Il quadrato del giardino interno. I chiostri, quelli no, sono off limit.
Ci sono quelli che tornano (o stanno per andare) da qualche festa, quelli che fanno un salto, ma non restano a dormire. Arriva Fiorella con le sue amiche, ha 26 anni, laureata da due, collabora con l'università. "Co.pro.? Magari, sarebbe già un risultato. Ho la partita Iva, prendo 800 euro al mese e chissà domani che succede". E Mattia, che studia Scienze Politiche e lavora in un call center: capelli lunghi d'ordinanza, ma neanche al liceo aveva mai occupato. Scandiscono: "Moratti né ministro né sindaco" e continuano a ballare. Luna, laureanda in Beni culturali che cerca di allontanare i fumi dell'alcol per spiegare: "Faccio le assemblee con i lavoratori del Piccolo, non fateci passare per quelli che vogliono solo fare festa". Si chiama "sindrome della muccinata". È la paura di essere descritti come i ragazzi dei film di Muccino, facendo macchietta delle motivazioni politiche della protesta a beneficio della festa. Di peggio c'è solo l'incubo strumentalizzazione, che non ha fatto entrare in Statale neanche una bandiera rossa, lasciando il campo a una sola, incomprensibile bandiera arrotolata vicino a una cattedra, quella degli indipendentisti sardi. Quell'aula, la 102, da mezzanotte all'una diventa un palco da Saranno Famosi. Succede che Stefano, 19 anni, studente di giurisprudenza, arriva per vedere com'è. "Non che non mi interessi di politica, ma non sono neanche uno accanito", spiegherà dopo. Vede un microfono incustodito davanti a qualche decina di ragazzi stravaccati sui banchi. Se ne impadronisce, intona Love me tender, di Elvis. E quando si accorge che nessuno lo fischia chiama Francesco - insieme hanno un gruppo che si chiama Stoned blues! - e gli dice: "Corri qui che cantiamo". Per un'ora i due cloni degli Oasis intoneranno Beatles e Doors, rock sempre più stonato man mano che le birre bevute aumentano. Nessuno li caccia via, il pubblico si ingrossa.
È il trionfo dell'anti-impegno sui collettivi? Chissà, è una domanda da non fare nella prima notte di occupazione. Il resto corre via fino alle tre, la musica si spegne (sono occupanti, ma non vogliono essere sgomberati per un motivo poco nobile come il disturbo della quiete pubblica) e per un'altra ora chi rimane pulisce tutto, una scena di quelle che qualsiasi mamma vorrebbe vedere. Alla fine, quando l'Amsa passa davanti al portone, raccoglie diciassette sacconi neri pieni di bottiglie e piatti di plastica. L'improvvisato bar interno aveva finito da almeno due ore la birra e il piatto unico di pomodori, mais e pane, offerta libera. La ricerca del posto migliore per dormire porta tanti all'aula 104: sacchi a pelo con gli zaini per la settantina di loro che restano, chi non ce la fa si butta a terra e dorme come capita.
Andrea nel suo gabbiotto guarda e sospira. Occupa anche lui, per necessità: resterà lì fino al mattino, per dormire si dovrà arrangiare, un occhio chiuso e uno aperto sulla sedia. "Prima di andare via il rettore mi ha raccomandato di fare attenzione alle porte che devono restare chiuse. Mi ha chiesto di avere molta, molta pazienza&".