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Repubblica/Napoli: Il segno della disperazione

Franco Buccino

27/11/2008
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la Repubblica

Dopo il momento creativo dell´onda, l´onda studentesca che non vuole pagare la nostra crisi, gli studenti che oscurano con slogan solari quanti protestano per la situazione in cui versa la scuola pubblica, è venuto il momento della pietà per gli alunni che nelle scuole muoiono o rimangono gravemente feriti. Piangevamo in silenzio i nostri ragazzi, timorosi di quanto quotidianamente ci aspetta nelle aule, negli androni, negli scantinati. Ma dinanzi a chi dice che i soldi per la messa in sicurezza degli edifici scolastici ci sono e a chi parla di tragica fatalità, siamo costretti a non tener fede alla consegna del silenzio.

Quanti dei quasi novecentomila ragazzi che ogni giorno in Campania frequentano la scuola, sono al sicuro nei circa quattromila plessi, tra edifici e interi piani di edifici? E quanti con loro sono al sicuro tra gli oltre centomila addetti che ogni mattina li accolgono? Tutti sanno che la maggioranza di detti edifici non hanno la certificazione dei requisiti essenziali, di agibilità non solo, ma perfino di staticità. Che non hanno accessi per ingressi e uscite adeguati, accessi ordinari e di emergenza. Che accolgono spesso nelle singole aule, nei corridoi e nelle scale un numero di ragazzi esagerato rispetto alla cubatura prevista e rispetto a ogni ipotesi di rapida evacuazione. Un terremoto come quello del 1980, che non capitasse di domenica! Per fortuna o sfortuna, non lo so, nel modo di vedere della nostra gente le scuole "sgarrupate" stanno come le buche enormi nelle strade principali della nostra città, come la malasanità, i morti ammazzati dalla camorra e il senso unico pedonale a Ssan Gregorio Armeno. Un anno e mezzo fa, tutti i sindacati della scuola, c´ero anch´io, decidemmo di denunciare per motivi di sicurezza e per motivi di organico, le scuole che non rispettavano la 626 a Procure, Asl, vigili del fuoco. Dovemmo fare precipitosa marcia indietro, ci diedero addosso non solo i miei colleghi presidi traditi da un giuda, ma interi collegi e consigli d´istituto, timorosi di chiudere o comunque di passare al doppio turno. Mentre le autorità rimasero olimpicamente indifferenti, eccezion fatta per un ispettore sceriffo che terrorizzava il beneventano.
Ci ripensavo ieri mattina a scuola mia quando per aver deciso di tenere chiusa la palestra nel seminterrato, allagato per la pioggia e ripulito alla meglio, ho raggiunto il massimo dell´impopolarità, da settembre che sono arrivato. Tra i ragazzi, che nel seminterrato e nel cortile vedono l´unica alternativa alle piccole aule su quattro piani, con un solo laboratorio, per il quale ci si prenota per tempo, e con una sola scala, oltre a quelle esterne di emergenza. Un destino comune a gran parte delle scuole della nostra provincia e della nostra regione. Non sono sicure le nostre scuole, e se non ci sono incidenti anche gravi siamo fortunati. Non sono adeguate alle esigenze didattiche le nostre scuole. Non sono accoglienti le nostre scuole. Nonostante che ogni mattina ci facciamo la croce gran parte dei docenti, degli ata, e affrontiamo situazioni di continua emergenza e rimediamo con una professionalità creativa a limiti strutturali, di organico e di risorse. Nonostante il grande spirito di adattamento dei nostri studenti che dal tempo della scuola imparano il valore del settore pubblico e le differenze sempre più profonde fra le due Italie.
Nelle scuole si corrono troppi rischi: rischi per l´incolumità fisica e non solo. È a rischio nelle scuole la dignità professionale dei docenti e del restante personale, il riconoscimento del lavoro intellettuale, del merito e dell´impegno individuale e collegiale. È a rischio nelle scuole il diritto all´istruzione degli studenti per via di riforme che li vogliono dividere fin da piccoli, che riducono tempi e occasioni di formazione. È a rischio il principio che la scuola, come del resto università e ricerca, meriti attenzione e investimenti anche in tempi difficili.
Se le scuole funzionassero, se le scuole fossero sicure sarebbero il segno della speranza, il segno di un Paese che guarda al futuro e finalizza i suoi sacrifici. Altrimenti continueranno a essere il segno della disperazione, come le lacrime di parenti e amici di Vito Scafidi. Scuole sicure per niente.


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