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Repubblica/Napoli: La scuola del dialetto non conosce la continuità

Franco Buccino

04/08/2009
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la Repubblica

Avere a Napoli per i nostri figli e nipoti insegnanti lombardi e veneti che escludessero il dialetto napoletano, le opere, gli autori e gli artisti, non ci farebbe stare tranquilli. E pur essendo ben consapevoli del valore universale della lingua napoletana, della canzone napoletana, del teatro napoletano, non siamo tuttavia così partigiani da non riconoscere pari dignità a tutti i dialetti del Bel Paese. Ma le cose non stanno così; il problema che si pone, per fortuna, prescinde dalla provenienza geografica degli insegnanti. La chiave per risolvere alla grande questo problema di conoscenza e valorizzazione delle tradizioni locali e del dialetto bisogna trovarlo nel rapporto di una scuola con il territorio. In particolare si prestano a dare risposte soddisfacenti a tali richieste le relazioni intergenerazionali. Nella famiglia non c´è più tempo; spostiamoci a scuola: i nonni nelle aule con i loro documenti, i loro strumenti, i propri racconti. Anche gli insegnanti, da qualunque parte d´Italia provengano, non possono non partire nella loro programmazione da un´analisi del contesto in cui vivono i propri alunni, per la quale analisi ci vuole studio e, magari, momenti di aggiornamento; e non possono non privilegiare nei programmi di studio la storia e la geografia del territorio in cui è ubicata la scuola.
Se gli insegnanti è meglio che siano del posto oppure no, è francamente una questione accademica; si può immaginare che in certe regioni gli abitanti abbiano trovato altre attività e professioni da svolgere, magari più redditizie o più gratificanti. Non sarebbe il caso di insistere troppo in un´epoca di globalizzazione e di circolazione dei lavoratori nei paesi membri dell´Ue. Così come è giusto chiarire, contro ogni vena razzista di proposte estemporanee, che i contesti di cui la scuola deve rispettare e valorizzare l´identità non sono solo i contesti territoriali, ma anche quelli più ristretti di comunità che si aggiungono a quella esistente, siano esse italiane, comunitarie o extracomunitarie. Occorre infine ricordare che la scuola, imitando in ciò i ragazzi, per sua natura non separa ma unisce, non preserva ma mette a confronto, non è rigida ma tollerante.
Potremmo chiuderla qui. Se non fosse che la Gelmini, pensando di ridimensionare le polemiche suscitate dalle posizioni della Lega sul test di dialetto agli insegnanti, ha detto che alla fine queste persone vogliono solo garantita dalla scuola la continuità didattica ai loro figli. Non si è resa conto, il ministro, che se fosse vera la sua interpretazione, la risposta a questi genitori dovrebbe darla proprio lei. Con qualche difficoltà, perché non solo non ha fatto niente in tale direzione, ma ha operato in senso diametralmente opposto. La continuità didattica, cioè il diritto dell´alunno ad avere gli stessi insegnanti per tutta la durata del corso di studi, è messa in discussione solo in minima parte dallo spostamento degli insegnanti da una provincia all´altra, da una regione all´altra. Dei cento e passa prèsidi idonei che dalla nostra regione sono andati al Nord con grande costernazione della Lega, torneranno a casa a settembre appena una decina. La continuità è vanificata da incarichi annuali ai precari, che ogni anno raggiungono una sede diversa per totale incapacità dell´Amministrazione di gestire tale processo, e dalle scellerate scelte politiche in materia di organici con i noti tagli. In Campania siamo vicini agli ottomila posti tagliati, più di un quinto del totale nazionale: ma, si sa, la continuità, rivendicata per i loro figli dai leghisti padani, da noi sarebbe un lusso. I tagli comportano la mancata riconferma sui loro posti di tanti precari, il soprannumero di numerosi docenti di ruolo costretti a cambiare scuola, la mancata immissione in ruolo di migliaia di precari che perciò non vengono stabilizzati su un posto fisso. Senza dimenticare che gli effetti della cosiddetta riforma della scuola, con il maestro unico nella primaria, la ridefinizione delle cattedre nella secondaria, l´eliminazione secca delle sperimentazioni nelle superiori, rappresenteranno il più grave attacco alla continuità didattica nella storia della scuola italiana.
Avrebbe fatto meglio la Gelmini, anziché avventurarsi in questo terreno per lei minato della continuità, prendere le parole della Lega per quello che sono; anzi accettare la sua proposta e far fare agli insegnanti la prova di dialetto. Magari in Calabria. Come fece lei per l´esame di procuratore legale.