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Repubblica-Napoli-RITUALI DI UNA SCUOLA IN CRISI

RITUALI DI UNA SCUOLA IN CRISI Si cerca la propria classe di concorso volando da un capannello all'altro, si sgomita per interpretare i minuscoli caratteri a caccia del proprio nome...

26/08/2004
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la Repubblica

RITUALI DI UNA SCUOLA IN CRISI
Si cerca la propria classe di concorso volando da un capannello all'altro, si sgomita per interpretare i minuscoli caratteri a caccia del proprio nome: trovarlo può significare aver ottenuto il trasferimento o il passaggio di ruolo, o addirittura la mitica collocazione in ruolo attesa spesso da una vita. Insomma si insegue una traccia benevola del proprio destino insieme a tanti altri che hanno trascorso l'estate ad aspettare il responso dell'oracolo.
Non si tratta solo di giovani, molti sono precari da decenni. E c'è chi non se la sente di viversi l'ennesima frustrazione e manda in avanscoperta genitori, amici. Un crogiolo di umanità variegata ma cementata dall'ansia. Se tutto va bene si annota il numero in graduatoria e si va via con la sensazione di aver vinto alla lotteria, ma se, come sempre più spesso accade, i conti non tornano, il punteggio è inferiore a quello previsto, e se gli errori sono generalizzati, ecco che l'accaldata massa si trasforma in una folla imbestialita. Ma come? Si aspettano anni e anni, si fanno chilometri di file per richiedere certificati, si consumano ore a riempire moduli e compilare domande, per poi scoprire che è tutto da rifare? I cellulari impazziscono e avvisano amici, parenti e colleghi che le graduatorie sono sbagliate.
Chi è venuto da lontano, anche da fuori città, chi ha interrotto le vacanze o è rientrato in anticipo per conoscere finalmente il proprio destino, ed ecco che tutto è stato inutile. L'indignazione esplode, è legittimo e inevitabile.
Ma questa è solo la prima parte del rituale. La seconda è rappresentata dai massimi dirigenti scolastici che subito assicurano di porre rimedio in fretta a ogni eventuale sbaglio. La colpa? È inutile cercare di addossarla a qualcuno. Si parla di errori del sistema informatico, di fattori tecnici dovuti a imprevedibili quanto misteriosi accadimenti. A volte ci si mette anche il ministero, che, in una inarrestabile maratona cartacea di provvedimenti, rimette tutto in discussione all'ultimo momento, costringendo il personale di quelli che un tempo si chiamavano provveditorati ad esercizi di interpretazione cabalistica del vero senso dell'ennesima circolare, magari partorita in un ufficio romano oppresso dalla canicola estiva, che proverbialmente imperversa con particolare ferocia nella capitale.
A completare il rituale c'è la ridda di voci che corrono fra il popolo delle graduatorie: chi accusa di inefficienza, chi grida allo scandalo, qualcuno non ci vede chiaro e formula inquietanti ipotesi che esasperano ancora di più gli astanti. In realtà lo sbaglio delle graduatorie è solo il primo di uno dei tanti disagi che accompagnano l'insegnante lungo tutto l'arco della sua carriera. Si comincia così, ma poi la serie di errori e orrori burocratici continua fino alla pensione, quando agli uffici competenti non risulta questo o quel servizio, quando gli enti previdenziali richiedono documentazioni che nessuno sa bene come e dove andare a ripescare. Per non parlare dell'attesa per percepire realmente l'assegno della pensione o l'ancora più mitica liquidazione. In mezzo ci sono i trasferimenti mancati o quelli concessi e poi risultati inesistenti. La scuola sembra vivere ubbidendo a un principio di indeterminazione: i diritti dei lavoratori o aspiranti tali ci sono, e chi lo nega; il problema è vederseli riconosciuti in tempi e modi ragionevoli e non lesivi della dignità del cittadino. In fin dei conti di cosa meravigliarsi? La scuola fa parte integrante della società, la rispecchia nel bene e nel male. Ma perché, ultimamente, soprattutto nel male?
SERGIO DE SANTIS