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Repubblica-"Non c'è più il senso di colpa i giovani temono solo il flop"

L'intervista Parla lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet "Non c'è più il senso di colpa i giovani temono solo il flop" Leggono libri e ascoltano la radio più dei loro genitori, hanno...

14/06/2004
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la Repubblica

L'intervista
Parla lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet
"Non c'è più il senso di colpa i giovani temono solo il flop"

Leggono libri e ascoltano la radio più dei loro genitori, hanno una sessualità più aperta e si interrogano poco sul proprio domani
Possiedono almeno un computer, un cellulare e un impianto hi-fi ad alta tecnologia, il resto dipende dalla forza economica di mamma e papà

ROMA - Professor Gustavo Pietropolli Charmet, da psichiatra è possibile fare un ritratto dei diciottenni di oggi?
"Cominciamo col dire che ci troviamo di fronte a giovani adulti: ragazzi e ragazze che hanno risolto cose come l'identità di genere, che hanno una vita sessuale, i propri riferimenti nel popolo della notte, un buon livello di autonomia. Hanno tutte le caratteristiche degli adulti, fuorché la disponibilità economica. Anche per questo sono coinvolti fino ad un certo punto negli esami di maturità".
Perché la maturità non dovrebbe coinvolgerli?
"Perché il diciottenne di oggi non ha la paura di un tempo, non soffre di sensi di colpa per non aver studiato abbastanza. Ciò che teme è la vergogna: teme la brutta figura, non il castigo. Teme il flop, l'essere platealmente svergognato. Non ha paura delle conseguenze concrete di una ipotetica bocciatura. Ma di essere messo a nudo. Allevato come un re, viziato da genitori che non gli hanno mai detto "no" contrattando con lui ogni cosa - esci però torni a...; ti compro il motorino se...; ti do i soldi, ma... - e che si aspettano grandi cose da lui, il ragazzo teme di uscire dalla maturità con un'immagine meno dorata e vincente di quella che gli aveva cucito addosso la famiglia nella sua sontuosa infanzia. Per la prima volta, sale solo sul palcoscenico per dire la poesia ed è atterrito poiché ha interiorizzato un modello narcisistico di sé che non accetta cedimenti.
Meglio il senso di colpa?
"Meglio, sì: perché la colpa e redimibile, al castigo segue il perdono. La vergogna invece è una brutta bestia poiché resta legata alla persona per sempre. Il ragazzo è paralizzato dall'idea che si scopra che lui non è il bambino prodigio che la madre ha sempre pensato. E quella sensazione di vergogna la riproverà ogni volta che gli tornerà in mente quel momento insieme alla sensazione di voler scomparire, di eclissarsi".
Questo timore del fallimento cosa provoca?
"Credo che la paura della vergogna sia all'origine della demotivazione scolastica. Consapevoli dei super investimenti fatti su di loro, i figli non reggono ai primi insuccessi scolastici: il dolore della mortificazione è tale che piuttosto che provarlo ancora preferiscono rinunciare. La fame di successo rende fragili".
E quanto incide nella scelta di una eventuale facoltà?
"E' un dramma, perché c'è molto silenzio intorno a lui. Oggi non c'è un padre che obbliga il figlio seguire le sue orme; non una nonna che trama affinché il nipote si avvii alla tal professione. Il demone dinastico è ammutolito. I genitori aspettano che la mente del figlio manifesti il suo sé, che pronunci la sua vocazione. Tutti in punta di piedi intorno a lui che pensa. L'università ha perso il suo significato etico e ne ha assunto uno espressivo: è diventato cioè il mezzo, lo strumento attraverso il quale il giovane cerca il piacere della realizzazione di sé; non più il dovere morale di fare il medico, ma solo il piacere di potersi esprimere come soggetto. E diventare qualcuno".
(m. s. c.)