Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Repubblica: "Non serve portare l´università

Repubblica: "Non serve portare l´università

Tranne rare eccezioni le strutture del Sud manifestano un forte svantaggio rispetto agli atenei del Nord. Non si può far finta di non vederlo

19/06/2007
Decrease text size Increase text size
la Repubblica

Roberto Ciampicacigli, direttore del Censis Servizi

l´intervista
EVA GRIPPA

La ricerca Censis sulle università italiane è giunta all´ottavo anno. Su quali direttive si è mosso il cambiamento?
«L´università ha subito cambiamenti epocali. Cito i più importanti. Primo, la riforma del 3+2, con le conseguenti politiche dei crediti che hanno portato a fenomeni come le convenzioni per "lauree facili". Secondo: la crescita abnorme degli investimenti pubblicitari delle università, che riflette una visione commerciale dal sapere. Terzo: la crescita dei corsi di laurea con politiche d´offerta indiscriminate e spesso prive di reali contenuti. Ultimo: la sensazione che non si possa più prescindere dalla valutazione. Dati qualitativi (l´incremento di incontri e occasioni di riflessione del mondo universitario) e quantitativi (il 60 per cento dei presidi ha risposto alla nostra indagine) fanno capire che una quota crescente di presidi, professori, rettori, esplicitano il loro consenso a politiche della valutazione, anche in chiave premiale, e che ragionano di meritocrazia con minore resistenza. Cambiamenti che ci hanno imposto di ragionare su "medie mobili", ovvero non sulla performance di una facoltà in un determinato anno, ma sulla media degli anni, perché nel cambiamento intervengono fatti congiunturali e strutturali che determinano andamenti oscillatori».
Quali i temi "caldi" da mettere in agenda?
«Innanzitutto, una riflessione sulle tasse universitarie: bassissime. La media è 1.000 euro l´anno, circa 80 euro al mese. Un costo troppo basso per sostenere il sistema che deve creare la nuova classe dirigente del paese. Raffrontato al costo medio degli alloggi, si scopre che a trarre beneficio non sono le università, ma le piccole realtà immobiliari private. E il paradosso è che le tasse le pagano i redditi da lavoro dipendente, con certezza del reddito. Come dire che il figlio di un idraulico paga per il figlio del commercialista. Un loro aumento, invece, aumenterebbe gli importi di borse di studio e gli investimenti per alloggi, mense, servizi».
Criticità e potenzialità nel futuro dell´università italiana?
«Sembra scontato, ma il problema del Mezzogiorno è reale. Tranne rare eccezioni le università del sud manifestano un forte svantaggio rispetto ad atenei del nord, in cui la piattaforma del sapere sembra funzionare bene. Un fatto che la politica non può far finta di non vedere e di cui deve tenere conto nella distribuzione delle risorse. Non per distribuire a chi non ha merito, ma per colmare uno svantaggio. A patto che i finanziamenti non servano ad alimentare meccanismi come il localismo e la competitività tra le sedi, che hanno portato all´apertura di tanti "pezzetti di facoltà" in luoghi sperduti. Perché portare l´università sotto casa dello studente non serve ad accrescere la qualità del sapere».