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Repubblica-Oxbridge, l´educazione

Cattedrali del sapere i luoghi dei padroni del mondo

26/03/2006
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la Repubblica

Nonostante la storica rivalità, Oxford e Cambridge sono viste come una cosa sola, un posto che occupa i sogni di tanti giovani ambiziosi. Qui hanno studiato mezza dozzina di primi ministri inglesi, compreso l´attuale, decine di capi di stato e di governo, sovrani stranieri, politici, imprenditori, alti funzionari. E persino un presidente degli Stati Uniti. Ecco il loro segreto
I due atenei inglesi entrano nella top ten mondiale delle cosiddette università d´élite, di cui fanno parte anche Harvard, Yale e Princeton
Le rette sono alte, dai 10 ai 40mila euro l´anno, ma vi si può accedere anche grazie a numerose borse di studio, come quella che nel ´68 portò qui Bill Clinton
ENRICO FRANCESCHINI

Oxford
La sera del 10 ottobre 1968, su una banchina del porto di Southampton, sotto un´insistente pioggerellina, un distinto signore in bombetta, impermeabile e ombrello diede il benvenuto a un ragazzone americano lungo e grosso appena sbarcato da un piroscafo. Il signore in bombetta lavorava per l´Ufficio ammissioni dell´Università di Oxford. Il ragazzone, che aveva vinto una prestigiosa borsa di studio, si chiamava Bill Clinton. «Dopo un silenzioso viaggio in autobus, arrivammo a Oxford verso le undici di sera e non trovammo anima viva», ricorda l´ex presidente degli Stati uniti nella sua autobiografia, «fatta eccezione per un piccolo furgone illuminato che vendeva hot dog, pessimo caffè e cibo di scarsa qualità in High Street, accanto all´istituto a cui ero stato assegnato».
In quell´istituto del tredicesimo secolo, in una piccola stanza al primo piano, col bagno al pianterreno («il che spesso mi costringeva a gelide corse giù per le scale»), il giovane Clinton trascorse due anni, studiando scienze politiche (una tesi sul terrorismo, «sterile bisturi che seziona il corpo civile della società»), giocando a rugby, leggendo Hemingway, visitando nel weekend la tomba di Shakespeare a Stratford-upon-Avon e quella di Marx a Londra, spingendosi fino a Parigi e a Mosca durante le vacanze estive, ripensando all´America che s´era lasciato alle spalle in quel fatale ‘68, l´anno dell´assassinio di Martin Luther King e di Robert Kennedy, e al futuro che l´aspettava. Tornò a casa nel 1970, con tre piccoli doni ricevuti dai compagni di studi, un bastone da passeggio, un cappello di lana inglese, una copia di Madame Bovary (che ancora possiede), e con una poesia di Carl Sandburg stampata in mente: «Digli di stare spesso da solo e di scoprire se stesso/ digli che la solitudine è creativa se lui sarà forte/ e che le decisioni finali si prendono in stanze silenziose».

@_TITOLETTO nero sx:Scoprire se stessi
Ogni autunno, migliaia di ragazzi e ragazze provenienti da ogni angolo della Gran Bretagna e della Terra, emozionati e impacciati, piombano tra i merli, le torri, le guglie e le gotiche figure che adornano la più gloriosa cittadella universitaria d´Europa, con l´obiettivo, come aveva Bill Clinton, di «scoprire se stessi» e incamminarsi verso un luminoso futuro. Non tutti, ovviamente, sono destinati a diventare presidenti di una superpotenza, ma alcuni ci vanno vicino: mezza dozzina di primi ministri britannici compreso l´attuale, decine di capi di stato, di governo e sovrani stranieri, per tacere di innumerevoli ministri, alti diplomatici, banchieri, imprenditori, giuristi, scrittori, scienziati ed artisti, sono passati per queste aule da cui grondano storia e conoscenza. Ad attirarli, oltre alla fama del luogo, al valore dei docenti e alla ricchezza delle risorse, è un sistema educativo forgiato nei secoli, che nel 1894 uno studente e più tardi docente (di una nuova scienza, da lui stesso inventata: l´antropologia), Robert Ranulph Marett, così descriveva: «Oxford basa il suo metodo sull´uso della dialettica socratica, ovvero sul dialogo come mezzo attraverso cui una persona più anziana intraprende uno scambio di punti di vista con una persona più giovane avendo come comune obiettivo la ricerca della verità».
Ogni primavera, più o meno di questi giorni, molte più migliaia di ragazzi e ragazze aspettano con trepidazione di trovare nella posta una letterina con l´intestazione "Oxford University", per scoprire se sono stati accettati. È un´attesa lancinante. Il Regno unito ha centododici università. L´Europa intera circa duemila. L´America cinque volte tante. Ma le cosiddette università «di élite», come le definisce la graduatoria pubblicata annualmente, sono cinquecento in tutto il mondo, e le "top 10", quelle che ne costituiscono la crema, il cui solo nome evoca esclusività e certezza di ritrovarsi dopo la laurea al vertice della propria professione, sono sempre le stesse. In Europa, Oxford e la sua sorellina inglese, Cambridge, acerrime rivali ma viste come una cosa sola, "Oxbridge", località inesistente sulle carte geografiche eppure nei sogni di tanti giovani ambiziosi, e dei loro non meno ambiziosi genitori. In America, le università della Ivy League, la "lega dell´edera", dal nome della tenace pianticella che s´arrampica sulle loro mura, con Harvard, Yale, Princeton in testa a tutte.
Il rifiuto può essere devastante. Un ragazzo russo che ha terminato con il massimo dei voti gli studi di scuola superiore a Londra, lo chiameremo K. per difenderne l´orgoglio ferito, sta ancora cercando di capire perché Cambridge abbia respinto la sua domanda d´iscrizione a giurisprudenza. Superata la prima selezione basata su curriculum e raccomandazioni scritte (almeno tre, obbligatorie), è stato convocato per un colloquio. Un anziano professore, schiaritosi la gola, gli ha domandato: «Nel 1973, con la sentenza Roe contro Wade, la Corte Suprema degli Stati uniti legittimò l´aborto. È giusto, secondo lei, che la Corte Suprema legiferi su questioni simili, o dovrebbero essere lasciate alle legislazioni dei singoli stati?». Qualcosa, nella sua pur argomentata risposta, non deve avere convinto il professore.

@_TITOLETTO nero sx:L´esame di ammissione
A Nathan Clements-Gillespie, che nonostante il nome è italiano, figlio di americani ma cresciuto a Roma, è andata meglio a Oxford, dove nel 2004 fece richiesta d´iscriversi a lettere. La commissione esaminatrice gli chiese prima di parlare di uno dei libri da lui citati nel suo autoritratto intellettuale (Tenera è la notte, Francis Scott Fitzgerald), quindi gli mise sotto il naso un sonetto, invitandolo a spiegare cosa, esattamente, lo rendeva «una poesia». Nathan se la cavò, ora è al secondo anno di corso ed è diventato presidente dell´Unione studenti italiani di Oxford, associazione che conta 144 membri - «siamo il gruppo straniero più numeroso dopo i greci», dice - e che organizza, eventi, dibattiti, cene di pastasciutta, queste ultime «per distinguerci dai barbari inglesi», avverte un ironico trafiletto sul loro sito Internet. «Oxford è l´ambiente più stimolante che si possa immaginare», commenta Paola Cadoni, torinese, iscritta a un master in Relazioni internazionali al St. Anton College. «Vai a pranzo in mensa, a tavola parli casualmente della tua tesi con un professore che ti fa subito mille domande, e quando torni sui libri hai già capito qualcosa di più». Il metodo socratico, insomma, anche col boccone trai denti.
Un tempo, a Harvard, Yale e Princeton vigeva una ripugnante politica delle ammissioni, o meglio delle esclusioni, per limitare il numero degli ebrei: fu introdotto un criterio di selezione anche estetica, di modo che uno studente poteva essere respinto con l´annotazione «basso di statura, orecchie a sventola», come rivela The chosen, un libro appena uscito in America che ha scatenato un putiferio di polemiche. Oggi questo non capita più, e tuttavia ci sono ancora manuali che spiegano tutti i trucchi per essere ammessi a "Oxbridge" o nei college Ivy League, da come vestirsi per il colloquio a come rispondere alle domande trabocchetto. Precondizione per essere ammessi, naturalmente, è avere i soldi: diecimila euro l´anno per la retta di Oxford, senza contare vitto e alloggio, tre-quattro volte tanto per Harvard. Ma esistono anche prestiti e borse di studio: come quella che, una piovosa sera dell´autunno 1968, permise a un ragazzo americano di povere origini di approdare nella più gloriosa cittadella universitaria d´Europa e «scoprire se stesso».