Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Repubblica: Pensaci Mariastella basta la buona volontà?

Repubblica: Pensaci Mariastella basta la buona volontà?

Mario Pirani

13/07/2009
Decrease text size Increase text size
la Repubblica

«Nessuno è in grado di far desistere il ministro dalla volontà di riformare profondamente il sistema universitario italiano» afferma Mariastella Gelmini, titolare del dicastero che sovrintende a tutto l´universo formativo, dalle elementari agli atenei ed anche alla ricerca. Non ho dubbi sulla buona volontà del ministro, meno certo sono sulle sue possibilità di superare le ostilità trasversali delle varie consorterie accademiche e di partito che si frappongono alle misure più significative da lei annunciate e sempre rinviate.
Già in una precedente rubrica ho segnalato i trabocchetti predisposti, come comprovano i numerosi messaggi che continuo a ricevere in queste settimane di attesa. Mi scrive, ad esempio, una ricercatrice di Storia moderna sulla questione centrale del concorso unico nazionale che dovrebbe tagliare l´erba sotto i piedi al clientelismo localistico e alle parentopoli, oggi imperanti: «Purtroppo nell´ultima bozza di legge quadro ciò che si prospetta non è affatto un concorso unico ma un´abilitazione scientifica nazionale e, cioè, una lista di abilitazione, senza limiti di numero, senza graduatoria di merito e totalmente scollegata dai reali posti disponibili nei singoli atenei, per i quali non solo continua a permanere il concorso locale, ma viene introdotta anche la "chiamata diretta" senza concorso (un tempo riservata a studiosi di chiara fama internazionale) per coloro che già lavorano presso l´ateneo! In sintesi non solo permane ma viene per così dire esaltato il localismo. In concreto, se la creazione della lista di abilitazione può snidare casi di totale inadeguatezza del candidato, non aiuta però i "bravi", e ce ne sono tanti, che non hanno protezioni. Si continuerà ad andare avanti in virtù di accordi e spartizioni tra ordinari (qui il mio, lì il tuo, oggi il mio, domani il tuo etc.). Tutto questo non è il prodotto della mente del ministro, ma dei suoi consulenti e dello stesso Cun, cioè di coloro che da sempre governano l´università e provocato le storture». Un ordinario di Letteratura italiana contemporanea, intervenendo anche lui sulla questione decisiva dei concorsi, invece, afferma che: «La legge in cantiere imposta su basi corrette la soluzione dei problemi del localismo e della scarsa trasparenza. Tuttavia non sono pochi nella stessa legge i punti critici, che potrebbero far rovinare l´intero sistema. Il più importante di tutti consiste nella legittimazione di una sorta di "docenza liquida", vale a dire dei contratti di ricerca o di attività didattica integrativa istituiti dalla Legge Moratti. Tali contratti sono stati attivati a migliaia per gonfiare l´offerta didattica, con l´invenzione anche di sapere di scarsa consistenza scientifica e magari di effimero appeal, e in casi più rari sono stati resi necessari dal blocco del turn over. Gli insegnamenti a contratto producono effetti di oggettivo oscuramento dei requisiti di competenza ed esperienza scientifica dei docenti.
Se ne deduce che per qualche Ateneo sarebbe forse conveniente sul piano finanziario sostituire gradualmente una certa percentuale di vecchi "baroni" con contrattisti, scelti in piena discrezionalità (tra giornalisti, personaggi della tv e dello spettacolo, esponenti del mondo dell´impresa e delle professioni, o anche politici di secondo rango). Non si deve inoltre dimenticare che rimane vigente anche un´altra normativa, inaugurata dal ministro Berlinguer, che consente un ulteriore sistema di assunzione di personale docente "fuori sacco", vale a dire quella dei cosiddetti ricercatori a tempo determinato. A tale tipologia di assunzione aspira la gran massa dei dottori di ricerca e dei ricercatori precari, oggi in lista d´attesa, con la motivazione sindacale del diritto alla stabilizzazione. Non è chi non veda che se si imboccasse anche questa scorciatoia si giungerebbe presto a ripetere per la docenza universitaria il discutibile modello di ruolizzazione in blocco del personale, che si è perseguito per decenni nella scuola secondaria».