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Repubblica-Quel presente cosi' difficile da digerire

Quel presente cosi' difficile da digerire Il tempo dei padri, della noia che detta la sua legge MARCO LODOLI I ragazzi italiani si muovono lentamente. E' strano, alla loro età io ero semp...

18/06/2004
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la Repubblica

Quel presente cosi' difficile da digerire

Il tempo dei padri, della noia che detta la sua legge
MARCO LODOLI

I ragazzi italiani si muovono lentamente. E' strano, alla loro età io ero sempre di corsa, volevo sempre scappare da qualche parte, altrove, comunque lontano da dove mi trovavo. E invece loro camminano piano piano, anche quando la campanella suona l'ultima ora e si tratterebbe solo di scaraventarsi in fretta fuori dalla scuola, anche all'uscita dagli esami. Sono come pitoni impegnati a digerire un topo: qualcosa li ingombra, li appesantisce, li rallenta. Da bambini scattano come trottole, poi acquisiscono un passo da alpini. Più che andare, stanno. Più che fuggire, rimangono. Sono totalmente impegnati a digerire il loro topo, cioè il tempo presente. E il presente è grasso, supernutriente.
Il presente è la stagione dei padri, della noia, dell'ingiustizia, della rassegnazione. Non qui e non ora, non così, questo c'era scritto sulla bandiera della giovinezza. Ma adesso il presente regna incontrastato, si è sbarazzato del prima e del dopo e detta la sua legge. Sono così pieni gli scaffali del presente, c'è talmente tanta merce da smaltire, merce che si rinnova giorno dopo giorno, che non rimane alcuna possibilità di guardare indietro o avanti. Questo è un tempo saturo, senza finestre né vie di scampo. Chissà, in questo dimorare totalmente nell'oggi forse c'è anche una saggezza, in fondo tanti illuminati consigliano di vivere intensamente l'attimo che scompare, di raccogliere la goccia mentre cade. Forse noi che siamo stati ragazzi in un'altra epoca ci siamo consumati inseguendo nostalgie e chimere, idealizzando attimi lontani, artisti morti e sepolti, esperienze irraggiungibili. Forse hanno ragione i ragazzi che accettano le cose per quello che sono, senza tradirle, che istintivamente hanno scelto di amare il destino che gli è capitato. Di certo una conseguenza di questa fedeltà incrollabile al presente è la cancellazione della memoria come strumento di ricerca. Il passato è una stanzetta chiusa a chiave dove stanno ammucchiati i busti polverosi di Mussolini e Petrarca, Pertini e Michelangelo, i Beatles e Chaplin, Fellini e Giulio Cesare, e a volte persino di ET e Kurt Cobain. Non c'è differenza tra un evento o un personaggio di mille anni fa e uno dell'altroieri: è tutta roba in bianco e nero, infeconda, abbastanza noiosa, che appartiene al tempo inutile in cui questa mattina di sole, musica e traduzioni non esisteva ancora. Può essere materia di studio, una ricerca in biblioteca, un esame da superare, ma non è quasi mai linfa vitale. Non si saprebbe proprio dove farla colare, qui e ora è tutto già pieno, per i vecchi e i morti non ci sono più neanche posti in piedi.
A volte provo a spiegare che il tempo dell'arte è assolutamente un altro da quello del calendario, che Marco Aurelio e Shakespeare prima di essere statue nel museo sono stati dei ragazzi come loro: ma c'è poco da fare, non li convinco. L'industria dello spettacolo, della moda, dell'attualità e del frastornamento chiude tutte le prospettive. I giovani sono un mercato troppo importante, non è possibile lasciarli andare verso mondi lontani, gratuiti, senza scontrino. E così li vedo camminare fuori scuola trascinando un po' i piedi, schiacciati dal carico del presente, affaticati da una digestione infinita.